|
|
La regista Alina Marazzi ripercorre gli anni della liberazione sessuale femminile e per farlo usa immagini di repertorio, filmati in super8, immagini delle Teche Rai e della Cineteca di Bologna, film sperimentali di Adriana Monti, Loredana Rotondo e Alfredo Leopardi, testi tratti dai diari dell'Archivio di Pieve Santo Stefano. Non mancano lettere e conversazioni con le testimoni di quegli anni, foto dell'epoca, fotoromanzi e riviste. Ma tutte queste immagini vengono intercalate a tre percorsi individuali vissuti a Roma, quelli di Anita, Teresa e Valentina, che scrivono le loro memorie nel 1967, nel '75 e nel '79. |
|
|
|
Alina Marazzi, regista per lo più di documentari che si è già fatta notare qualche anno fa con “Un’ora sola ti vorrei”, riapre il discorso (che dalla fine degli anni ’60 non si è mai interrotto) sul ruolo della donna nella società. “Vogliamo anche le rose” – il titolo cita uno slogan femminista, spostando l’attenzione dal ‘pane’ alle ‘rose’ – racconta, in poco meno di un’ora e mezza, i quindici anni che dal 1967 al 1981 hanno rivoluzionato la considerazione della figura femminile in Italia; si parla del raggiungimento dell’uguaglianza, ma anche dell’affermazione delle differenze tra uomo e donna. In Italia si compiono passi avanti inimmaginabili fino ad allora: si transita da un diritto di famiglia che prevede la potestà maritale alla bocciatura del referendum contro la 194: divorzio, aborto, parità sul lavoro, pillola anticoncezionale. Alina Marazzi segue due linee narrative nel suo racconto: la visione privata, nelle pagine di diario scritte da Anita, Teresa e Valentina, si fa visione pubblica, collettiva (le voci che leggono sono di Anita Caprioli, Teresa Saponangelo e Valentina Carnelutti). Si manifesta, si minano le basi del ‘benpensantismo’, quello che non fa distinzione tra famiglia cattolica e famiglia, che non vuole dare alla donna il diritto di scegliere, proprio invece dell’uomo. Le immagini d’archivio sono per la maggior parte inedite, e il discorso fluisce facilmente; sono però le scene ‘collettive’, quali le manifostazioni con il sottofondo della ‘Ballata di Sacco e Vanzetti’ (musica di Morricone, ma il riferimento extradiegetico è all’interpretazione di Joan Baez, simbolo di quegli anni), a colpire con più forza. Tra belle e a volte divertenti sequenze, stona un po’ la ripetizione di una scena a metà film, trattandosi di un lavoro principalmente di montaggio sembra un errore evitabile, anche perché la scena non è particolarmente significativa.
L’esposizione può essere divisa in più fasi, tra educazione e sessualità (Anita scrive “un’educazione che insegna fin dall’infanzia ad evitare il piacere porta risultati come il mio, cioè la sessuofobia”), disparità sessuale, movimento femminista e rapporti tra donne. La prima è la più interessante, per il resto il discorso è importante ma non innovativo: è un tema sul quale è diffusa un’ignoranza ‘voluta’, un disinteresse che non cambierà per un film che si può semplicemente decidere di non andare a vedere. Se invece si vuole conoscere, anche per capire la società in cui viviamo, questo film vale uno dei tanti altri fatti negli ultimi 30 anni. Perché vedere proprio questo? Un motivo è perché esce il 7 marzo, a ridosso della festa delle donne. Se non saranno rose, saranno mimose… |