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Laura, un’attrice alle prime esperienze cinematografiche e Federico, un attore affermato e, almeno in apparenza, sicuro del suo lavoro, si conoscono casualmente sul set di un film in costume. Tra i due nasce da subito un’attrazione che li porta ad instaurare una sorta di relazione, vissuta continuamente tra il set e la vita di tutti i giorni. Le loro diversità caratteriali e l’insicurezza che caratterizza fortemente entrambi non gli permetteranno di riuscire a portare avanti il rapporto con serenità. Forse però il loro incontro gli farà scoprire quel lato di sé stessi che hanno fino ad allora ignorato e, lontano dai riflettori, avranno la possibilità di compiere delle scelte inaspettate e, finalmente, mature. |
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Il cinema nel cinema in un continuo mescolarsi e mettersi in gioco: questo è quello che mette in scena il regista, Giuseppe Piccioni, in un film che, nel 2005, ha giustamente ricevuto le candidature al David di Donatello per la Migliore Attrice Protagonista, Sandra Ceccarelli, Miglior Scenografo e Costumista, Marco Dentici e Maria Rita Barbera e Miglior Direttore della Fotografia, firmata Arnaldo Catinari.
“La vita che vorrei” è un film che si lascia guardare piacevolmente e abbaglia per la carica emotiva e la sincerità di Laura/Eleonora interpretata da una Ceccarelli perfetta nel doppio ruolo assegnato, determinata e intensa. Il soggetto e la regia di Piccioni sono costruiti su di lei e su Lo Cascio, Stefano/Federico. I loro volti sono sempre ben illuminati per rendere visibile ogni espressione, ogni minimo movimento dello sguardo che possa svelare una metamorfosi, da uno stato d’animo all’altro. E la pellicola procede in questo modo: un film nel film – quasi una sorta di omaggio al cinema - che scandisce, ciak dopo ciak, un suo tempo e una sua storia che, anche se semplice, assume un valore più profondo grazie all’utilizzo di una tecnica narrativa meno comune del solito. Gli attori fanno da asse portante e il montaggio, sempre pronto ad intervenire per non sfiorare mai la monotonia, mostrano con forza sullo schermo le difficoltà e le insicurezze di un rapporto di coppia che ri-vive continuamente sul set le sue reali divergenze e i suoi smarrimenti. In questo modo realtà e finzione - o forse sarebbe più giusto parlare di finzione e finzione - creano due piani narrativi che dialogano senza interruzione, mostrando sullo schermo una continuità di stati d’animo e sensazioni che riflette la vita. Ed è proprio la vita che, alla fine, senza stonature, abbandona un set e fuoriesce con forza dando vita alla sequenza finale che, davanti all’“inaspettato”, apre uno sguardo diverso al futuro, e sulle parole della canzone di Lindo Ferretti - posta in chiusura ad accompagnare i titoli di coda - dà ad ognuno la possibilità di immaginare un proprio punto di arrivo. |