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Linda Mennella, maestra elementare ormai in pensione, Ersilia Vallifuoco, religiosa e gestore di una sala cinematografica e Amalia Concistoro, una pittrice napoletana colta e amante dell’arte si raccontano in un’intervista, tra immagini di vecchi documentari, film del passato e foto in bianco e nero. Tre donne, tanto diverse quanto accomunate dallo stesso sguardo verso il mondo che ci circonda, riflettono, ognuna sulla base dei propri valori e delle proprie esperienze, sulla situazione dell’Italia e sul grado di immoralità ormai persistente nelle società attuali. |
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Dopo la presentazione nell’ambito della I Edizione della Festa del Cinema di Roma nella Sezione “Extra”, esce finalmente nelle sale il film di Marcello Garofalo. Pochissime proiezioni in programma per un esordio alla regia che sa dare al genere documentaristico – negli ultimi tempi sempre più sotto la lente di autori cinematografici italiani ed internazionali – una rilettura originale e coraggiosa. Tra sonorità eterogenee e citazioni letterarie di Dante e Allen Ginzburg si apre una lunga intervista che vede come interlocutrici tre donne. A turno Marina Confalone, Piera Degli Espositi e Lucia Ragni si cimentano, seguendo lo spunto di un intervistatore “nascosto”, nel racconto della nostra Italia, un Paese in cui “ci si può sentire liberi solo se si obbedisce a qualcosa”. Senza timore e senza peccato le tre attrici si calano con attenta verosimiglianza nelle vesti di una maestra, una religiosa amante della pellicola e una pittrice stravagante per indagare il peso di una moralità alla quale oggi forse è sempre più difficile rimanere affezionati.
A guardarla la regia di Garofalo può sembrare scarna, ma ad una lettura più attenta l’opinione cambia. Le riprese a 360 gradi delle donne, inquadrate singolarmente, si mescolano ad immagini di reportage del passato e fotografie in bianco e nero sviluppando la pellicola su due differenti, eppure complementari, piani narrativi: uno delle voci femminili, che colorano, a tratti con ironia, i tre monologhi/risposte e quello delle immagini, che da quelle voci acquistano una loro peculiare sfumatura.
Che cos’è dunque “Tre donne morali”? Sono voce e fisicità che attraverso esperienze di vita e insegnamenti offrono spunti di riflessione su “un’era che usa superlativi per descrivere detersivi e maionese” e in cui le persone non sono più capaci di vivere sulla propria pelle ciò che è emozione. È anche elogio nostalgico di un regista verso un cinema che ormai consapevolmente non c’è più. Ma forse, più di tutto, vuole essere un dialogo inconsueto a più voci in un coinvolgimento continuo con lo spettatore che, vedendo nello schermo un’ambientazione così analoga a quella della sala cinematografica in cui si trova, non può che imparare ed aprire gli occhi davanti alla realtà. |
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