L’amore che lega una coppia negli anni è un amore che ha una storia, un affetto, una cura, una complicità nel capirsi, un’identificarsi socialmente in altre coppie. Ma a queste coppie manca il sangue. E il suo odore.
Quella smorfia di piacere che non ha spiegazioni logiche né ragionevoli.
E’ l’amore che invece improvvisamente lega Silvia a un giovane, un ragazzo misterioso e violento. Un amore che attacca i muri, un amore fatto di baci e non di parole, di amplessi forti quanto inaspettati.
Un amore che Carlo trasformerà presto in un'ossessione, con i suoi continui tentativi di conoscere ogni aspetto della sessualità della moglie con il giovane.
Ispirandosi liberamente all’omonimo romanzo di Goffredo Parise, ma inseguendo, cinematograficamente, le tracce di Antonioni, Mario Martone ci consegna la sua quarta regia a soggetto con la quale si distacca da Napoli e dalla napoletanità.
“L’odore del sangue” rappresenta una sorta di thriller metropolitano del cinema di Martone. Se Napoli era al centro di “Morte di un matematico napoletano”, “L’amore molesto” e “Teatro di guerra”, Roma rappresenta invece il principale spazio/set di “L’odore del sangue”. Una Roma notturna, dispersiva, chiusa nell’oscurità dei colori, dove Martone cattura i respiri e le sonorità così come faceva in maniera diretta con i vicoli di Napoli in “L’amore molesto”.
Martone quindi ancora sui luoghi del thriller, ma anche ossessivamente addosso nelle forme di un mélo sporco e brutale, con dentro quelle disperate spinte che ricordano Fassbinder, ma anche con una fisicità/sessualità viva, dove la macchina da presa si attacca ai corpi e si sente addosso la pelle, l’anima, di un’opera viva, meno diretta forse di “L’amore molesto” ma ugualmente coraggiosa.
Cinema della follia; una follia sporca, disturbante, ma dentro un cinema troppo denso per uno sguardo non abituato, dove scorre tanta di quella vita che il cinema non riesce a trattenere, a filmarla tutta.
Presentato a Cannes 2004. |