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"L'Uomo di vetro" è tratto dal libro omonimo di Salvatore Parlagreco (Ed. Bompiani) e si ispira alla storia di Leonardo Vitale, il primo pentito di mafia che decise di rompere il muro di omertà che impediva alla magistratura di penetrare il sistema mafioso. Vitale pagò questa scelta con il carcere, il manicomio giudiziario e poi con la vita, dato che la mafia, una volta tornato in libertà non esitò ad assassinarlo. Ma questo, spiega il regista Stefano Incerti, è anche un film sulla libertà di coscienza, sulla forza di andare contro tutti per affermare la propria libertà anche contro le proprie radici e gli affetti: è la lotta di un non-eroe, in parte vittima e in parte colpevole. Isolato dagli amici, dopo dodici anni vissuti tra il carcere e il manicomio giudiziario, sottoposto a numerosi elettroshock per dimostrare la sua follia, Leonardo Vitale fu ucciso nel 1984 dopo pochi mesi dalla sua scarcerazione. |
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Il cinema civile ogni tanto ha qualche sussulto. Considerato genere cinematografico ormai desueto, dopo il filone degli anni Sessanta, trova in "L’uomo di vetro" un esempio di grande spessore e lucidità. Il film diretto da Stefano Incerti ("La vita come viene") racconta la storia di Leonardo Vitale, pentito di mafia ante litteram, che nel 1973 (molto prima quindi della stagione del “pentitismo”) comincia a raccontare ai magistrati meccanismi e gerarchie di Cosa Nostra.
La vicenda, tratta dall’omonimo libro di Salvatore Parlagreco, comincia con il coinvolgimento di Vitale in sequestro di persona a Palermo. Una volta in carcere Vitale si discolpa e inizia a fare i nomi. Tornato a casa viene colto da crisi depressive, che lo portano a una sorta di vocazione mistica. Così decide di liberarsi la coscienza, confessa di essere lui stesso un assassino, coinvolgendo tutto l’ambiente in cui è cresciuto, compreso lo zio che gli ha fatto da padre. Scattano le manette per i capi delle cosche. Per difendersi Cosa Nostra capisce che l’unica soluzione è far passare Vitale per pazzo, ucciderlo sarebbe come ammettere la propria colpevolezza. Il proto-pentito, così, viene rinchiuso nei penitenziari psichiatrici per undici anni nell’indifferenza pressoché generale. Viene sottoposto ben otto volte all’elettroshock così le dichiarazioni di un mafioso penitio diventano semplici deliri di un folle. Il calvario di Vitale non ha fine e coinvolge tragicamente anche la parte “sana” della sua famiglia. Il senso di colpa e l’isolamento diventano giorno dopo giorno più insopportabili.
La vicenda di Vitale, è raccontata dal film di Incerti con grande semplicità, senza utilizzare gli stereotipi del film di mafia. Guardando l’organizzazione criminale da dentro, attraverso gli occhi di chi vive quella realtà. Qui sta la differenza fondamentale tra "L’uomo di vetro" e altri film che hanno denunciato il potere criminale delle cosche. L’esigenza di Vitale di liberarsi la coscienza non ha secondi fini, quelli sarebbero venuti dopo, con le leggi ad hoc per i pentiti. Qui lo Stato non riesce, o non vuole cogliere l’importanza strategica delle sue rivelazioni per la lotta alla mafia, accettando passivamente e talvolta in maniera complice, che praticamente tutti gli inquisiti tirati in ballo da Vitale uscissero puliti dalle inchieste.
Nel ruolo del pentito compare David Coco che aveva recitato in altri film su questi temi come "Placido Rizzotto" (era Pio La Torre) e "Segreti di Stato" (nella parte di Pisciotta). Coco è bravissimo per intensità e misura. Nel ruolo dello zio brilla Tony Sperandeo caratterista di lusso di tanti film siciliani. Una nota la meritano anche Anna Bonaiuto (madre di Vitale) e le musiche di Andrea Guerra. |
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Commenti del pubblico |
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News sul film “L'uomo di vetro” |
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I fratelli Taviani all'Efebo d'Oro (13 Luglio 2007)
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Arriva a Napoli "L'uomo di vetro" (20 Giugno 2007)
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