|
|
Ugo, brillante architetto in carriera e Francesca, proprietaria di un vivaio, sono separati di comune e pacifico accordo, dopo dieci anni di matrimonio. Entrambi trentacinquenni vivono le loro vite separate e in armonia, provvedendo però insieme ai due figli. Intorno a loro ruotano Gioia, la bizzarra amica single di Francesca; Matilda, una bella ragazza, energica e senza inibizioni e il padre di Ugo, ancora innamorato della buona cucina e delle giovani donne. Ognuno a suo modo va in cerca di quell’Amore tanto desiderato ma davanti al quale a volte è molto più semplice fuggire. |
|
|
|
“Voce del verbo Amore”, o più in breve, “VdVA”, come vuole il regista, è una commedia sentimentale, leggera e senza troppi impegni.
Ad aprire il film un piccolo e allegro storyboard: scene felici di un matrimonio con protagonista la coppia romana Ugo(Giorgio Pasotti)/Francesca(Stefania Rocca) e le loro voci fuoricampo a far presagire, in contrapposizione, una crisi. E poi tutto il film, che procedendo tra luoghi comuni e battute che scivolano nel retorico, ci mostra le diverse situazioni di chi vive la vita cercando l’Amore e si spaventa di affrontarlo. Se è vero che “la differenza tra voler bene ed amare è che se vuoi bene a qualcuno puoi farne a meno ma se ami qualcuno, non puoi vivere senza”… come si sente recitare, con non troppa convinzione dalla pur brava Cecilia Dazzi, è un po’ quello che accade ai due protagonisti. Ugo e Francesca, separati e con due figli a seguito, credono di poter rimanere amici, affrontando ognuno la propria vita in separata sede. Una parte non troppo difficile da recitare per la Rocca che risulta discreta e convincente anche se a tratti un po’ esagerata, forse così da copione e per Pasotti, un po’ tirato ma non del tutto fuori luogo.
Cosa ancora dire oggi sull’Amore che non sia stato già detto?! Si sa i temi sono quelli… lo stile però, quello con un po’ di sforzo può cambiare, e Andrea Manni impiega tutto il suo talento, ma non lo cambia. La storia rimane incollata ai cliché della commedia, a volte strampalata, altre raccontata con un linguaggio che ricorda quello della fiction e le fa perdere realismo, con il rumore del tuono ogni volta che c’è un “colpo di scena” e una telecamera che si aggira nella Roma di oggi, illuminata dalla luna, in cerca di belle angolazioni di ripresa. Le location però non hanno nulla di nuovo e gli attori devono adattarsi a muoversi tra case ben arredate, ambienti di lavoro, scaffali di un supermercato “per single” e una improbabile Roma di danze e cene intorno al fuoco che fa venire un po’ di mal d’Africa. Il film, articolato su soggetto e sceneggiatura di Maurizio Costanzo, è un’occasione per vedere in chiave ironia le paure e i litigi delle giovani coppie di oggi e i timori di chi si trova ad affrontare la vita da single, in una società che sta diventando, sotto certi aspetti, sempre più individualista. |