Film espanso e raccolto, dal grido strozzato, che del teatro riprende personaggi (la Medea di Seneca) e sembianze sceniche, e del cinema la grandiosa capacità di perforare realtà immateriali. La disperazione si patisce fin dalla prima sequenza, immediatamente il dolore si appiccica alla nostra pelle come lacrime dal sapore acre, quelle che Julia versa per essere stata abbandonata dal suo amore. Il nostro sguardo nella tragedia è un supplizio al quale non possiamo sottrarci, e provoca sfinimento e impotenza. Si intuisce da subito il destino di pazzia della protagonista: rifiutata, umiliata, senza speranza nel futuro, capisce di essere vittima di un’illusine chiamata eternità. E’ il tempo l’artefice di tutto, contro il tempo e la fatidica frase del per sempre, si scaglia contro anche Nicolas: entrambi cercano l’espiazione dei propri peccati, accusandosi a vicenda, sebbene lui possa contare su un futuro con un’altra donna mentre lei sia terribilmente sola.
Le rimangono i figli, che però sono dello stesso sangue di chi l’ha tradita, e per questo non possono colmare la sua mancanza di amore. Dissolvenze di neri come il vuoto, scandiscono inesorabilmente le scene che si susseguono senza pietà, con la fredda razionalità di Nicolas che, più o meno coscientemente, infligge ulteriori pene al cuore debole di Julia.
L’epilogo è il culmine della tragedia in senso lato, perché a morire è l’innocenza, il simbolo per eccellenza di amore e speranza…
Un film sofferto e molto elegante, crudo e dai dialoghi (e monologhi) molto suggestivi, con la telecamera che ipnotizza lo spettatore nello spazio scenico della rappresentazione, che a sua volta “vede” il suo divenire nelle immagini che scorrono in una televisione quasi sempre accesa, dove di volta in volta si scorgono scene grottesche, specchio di quanto accade o sua semplice metafora. |