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Un killer che vive autoesiliato è costretto a tornare in azione quando viene a sapere di un piano per assassinare il presidente. Incastrato dai mandanti del tentato omicidio, si mette alla ricerca del vero killer. |
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“Shooter” è un film girato non solo dopo l’undici settembre, ma anche dopo Abu Ghraib, dopo le commissioni di inchiesta che hanno rivelato che nessuna arma di distruzione di massa esisteva in Iraq nel 2003 e anche dopo che Michael Moore ha scritto i suoi libri e diretto il suo “Fahreneit 9/11”. Per questo, pur essendo sostanzialmente un action movie, risente di questo clima da contestazione quanto mai insolito per pellicole del genere. La moralità del governo americano è messa alla berlina senza mezzi termini, i corrotti si nascondono persino nell’esercito, tradizional-mente luogo dei puri e nobili sentimenti di amor patrio: certo non si potrebbe trovare nulla del genere in un vecchio film di Schwarzenegger. Mark Wahlberg-Bob Lee Swagger è il campione dell’individualismo libertario americano, tra Whitman, Thoreau e Fenimore Cooper: vive solo tra le montagne innevate del Wyoming, in una contea dove, ricorda Bob Lee agli uomini del governo, lo sceriffo chiude un occhio se il padrone si vendica di chi gli ha ucciso il cane nei confini della sua proprietà. Questo spirito di frontiera, questa rappresentazione dell’eroe solitario, che è la parte migliore e più affascinante della cultura statunitense, è forse il principale elemento di interesse del film: e sentir dire certe cose ai protagonisti su fatti così recenti e delicati della storia americana, o vedere uno di loro indossare la maglietta con il ritratto di Che Guevara (la cui apparizione si pensava fosse limitata ormai solo alle occupazioni ginnasiali) sono piccole piacevoli sorprese di cui fare tesoro nel corso della proiezione. Onestamente, però, “Shooter” non è artisticamente gran cosa: gli mancano tanto una scrittura adeguata (un’occhiata andrebbe data al racconto “Point of impact” di Stephen Hunter, da cui il soggetto è tratto) quanto una regia che sappia dare sostanza alle immagini. Nelle sequenze finali soprattutto il film perde la bussola, con troppi finali che non riescono a tenere viva la tensione fatta salire nella prima parte; e più di una volta si sente che la sceneggiatura è stata scritta senza nessuna preoccupazione di bellezza né di armonia, con dialoghi banali o semplicemen-te arrabattati alla bell’e meglio. Gli interpreti non sono certo indimenticabili, ma nemmeno peggio della media del genere: e ad ogni modo non si può non tifare per Bob Lee quando dice che non può perdonare i suoi persecutori, essenzialmente perché gli hanno ammazzato il cane. |
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Commenti del pubblico |
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