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Recensione: Brucio nel vento

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Brucio nel vento
titolo originale Brucio nel vento
nazione Italia / Svizzera
anno 2002
regia Silvio Soldini
genere Drammatico
durata 118 min.
distribuzione Medusa Film
cast I. Franek (Tobias) • B. Lukesová (Line) • C. Götz (Janek) • C. Baehr (Yolande)
sceneggiatura S. Soldini
musiche G. Venosta
fotografia L. Bigazzi
montaggio C. Cristiani
media voti redazione
Brucio nel vento Trama del film
Tobias vive in Svizzera e lavora come operaio in una fabbrica di orologi. Si è trasferito qui lasciando il suo paese natale convinto di aver ucciso la madre e il suo amante, padre illeggittimo dello stesso Tobias e padre naturale di Line, della quale il giovane è ossessivamente innamorato e che non vede da più di vent'anni. Un giorno Line compare alla catena di montaggio della fabbrica, trasferitasi anche lei in Svizzera con il marito e una figlia.
Recensione “Brucio nel vento”
a cura di Andrea Olivieri  (voto: 7)
"Mondi quotidiani che deflagrano nel sogno".

Legami un po' mistici, più o meno segreti. Fili misteriosi, delicati rinvii spirituali spesso poetici che determinano misteriosamente il modo di vivere dei personaggi. Tutto il fascino poetico e la sottigliezza psicologica, sono contenuti in un'immagine contrastata fino all'eccesso; squarciata da luci giallognole e bagliori verdognoli, per entrare nell'intimità delle psicologie. Ed un'altra, chiara e semplice, per inserire queste psicologie nel contesto sociale. Un'aspirazione intellettuale come quella della scrittura; l'adesione romantica che ispira una passione e l'esasperazione di quest'ultima, sono l'ostinazione del protagonista.
"Brucio nel vento" è anche questo. Un film sul rapporto tra scrittura e immagine. Emozione e visione. Soldini cerca una nuova grammatica della regia capace di impregnare le immagini di una purezza rarefatta, raccontando quello che non è raccontabile: il vento, gli alberi, la neve e l'amore. La violenta fragilità del suo cinema esce allo scoperto.
Attraverso intensi primi piani e morbidi carrelli, la macchina da presa sfiora i protagonisti, riuscendo, con una levità di tocco rohmeriana, nell'intento di portare il cinema del regista vicino all'astrazione non mostrabile della poesia. E i dialoghi diventano brevi interruzioni tra i continui monologhi intimistici fuoricampo.
Qui tutto è perdita, annullamento del singolo nell’estasi del totale. Allo spettatore non resta che vivere senza timore, senza le ingannevoli astuzie del linguaggio, l’esperienza del distacco, dell’abbandono di sé che porta finalmente a vivere nel silenzioso deserto.
Presentato al 52° festival internazionale di Berlino 2002.
Candidato ai Nastri d'Argento 2002 per il miglior regista.
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