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La leggenda narra che Paikea condusse il suo popolo in Nuova Zelanda cavalcando una balena: da quel momento, per tradizione, il primo maschio nato da un suo discendente diventa capotribù. Tutto è però destinato a cambiare: Porourangi, figlio dell'attuale capo, ha due gemelli, un maschio e una femmina; ma il maschio muore durante il parto ed è la figlia Pai a prendere - non senza grandi difficoltà - il suo posto... |
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Il cinema come non-luogo ha saputo funzionare da diffusore universale di sguardi su terre che l'occhio non conosceva o voleva sempre più vicine e familiari.
Dalle varie "vedute" dei pionieri d'inizio secolo al realismo della meraviglia digitale che ricrea uomini e materie.
Ad ambienti e popoli spesso solo evocati, fantasmi alieni capaci di sedimentarsi in un immaginario "esotico".
Il film diretto da Niki Caro, regista neozelandese che come ogni "indigeno" ha a grande cuore ogni questione legata al suo paese, è una delicata (ma non troppo) favola sul rigido mondo della stirpe maori e su ogni società fondata sulla discendenza maschile o maschilista in genere.
Si narra la storia di Pai (Paikea), una ragazzina la cui unica sfortuna è di nascere donna in una società che vuole solamente gli uomini primogeniti quali destinatari del potere di capo tribù.
Tutta la trama è dunque intessuta sullo scontro tra il nonno di Pai che "allena" un piccolo gruppetto di ragazzini ad essere leader e la stessa Pai che, emarginata dalla società maschile, fa di tutto per poter essere accettata nel ruolo che la tradizione le assegnerebbe.
Ma niente convince Koro (il nonno) che Pai è l'erede che la sua stirpe attende fino all'episodio finale.
Qui avviene il "miracolo" del film, ovvero quando i due "capi", la ragazzina e la balena-capo, arenatasi sulla spiaggia, partiranno per un viaggio senza ritorno in fondo al mare.
Un modo di vita ancestrale, il dolore della non accettazione, l'orogoglio per la cultura di cui si è parte, questi sono i temi di una pellicola di semplice lettura ma estremamente gradevole nella mano che la racconta.
Si respira un candore quasi d'altri tempi, una spiritualità da medioevo del cinema, un'austerità da 35mm di prima maniera e tuttavia l'emozione resta sempre ben viva.
Soprattutto nelle scene finali dove uno stuolo di balene arenate in spiaggia provocano una partecipazione quasi fisica dello spettatore.
Lotta generazionale e lotta ambientale, saranno temi forse semplici per il cinema estremo e sofisticato di questa generazione ma le storie come "La ragazza delle balene" ci regalano quel senso di libertà e di lotta indomita che resta insita in ogni uomo.
Premiato al Sundance Film Festival, a Toronto e a San Sebastian. |