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Valya è uno studente universitario. Per guadagnare qualche soldo ha accettato di collaborare con la polizia interpretando il ruolo della vittima nelle ricostruzioni degli omicidi. Dopo la cattura di un criminale viene formato un gruppo che, agli ordini del capitano, ricostruisce la scena del crimine. Uno dei poliziotti interpreta l'assassino e, nella maggior parte dei casi, Valya è la vittima predestinata. Così le giornate che si susseguono non sono mai uguali, tra una scena di un omicidio e l'altra. Una notte però gli appare suo padre, morto qualche tempo prima... |
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C’è del marcio in Russia...
Un uomo appare al figlio per aprire i suoi occhi sulla propria morte, mettendolo contro la madre e lo zio (che nel frattempo ha preso il suo posto): “Izobrajaya Zhertvy” non è l’Amleto, sebbene la storia sia la stessa. Più che un punto di partenza, la tragedia shakespeariana è un riferimento per una lunga, lunghissima citazione. Per essere qualcosa di più manca l’atmosfera sospesa tra incombenza del destino ed epica ribellione, il tormento interiore che diventa esso stesso tragedia prima ancora dei delitti: Kirill Serebrennikov (insieme ai fratelli Presnyakov) lo sa benissimo, e non cerca il confronto accontentandosi di una storia (e che storia) per il suo film.
Il giovane ‘principe’ russo è un ragazzo qualsiasi, emblema dell’occidentalizzazione del paese: è tanto vicino nel modo di vivere e rapportarsi agli altri al prototipo europeo (o americano) quanto è lontano dall’iconografia cinematografica sovietica e oltre, fino ai giorni nostri (basta pensare alle atmosfere lente, pesanti di “Madre e figlio” di Sokurov o de “Il ritorno” di Zvyagintsev). La sua particolarità, come da titolo, è nel suo mestiere: Valya impersona la vittima nelle ricostruzioni che la polizia fa delle scene dei delitti, seguendo alla lettera le dichiarazioni di chi li ha commessi. Tra una ricostruzione e l’altra, tutte riprese con una videocamera da un’addetta, la vita di Valya scorre piatta, nell’attesa di chissà quale traguardo, il matrimonio, la laurea, o semplicemente la vendetta.
Nelle scene di lavoro il film è vivace, a tratti divertente nel proporre macchiette, ironico nel dissacrare gli omicidi stessi affrontandoli con la naturalezza della quotidianità; l’espediente della videocamera giova alla narrazione, con intere sequenze riprese a mano libera fino a veri e propri passaggi non cinematografici, pura fantasia visiva.
La prima opera di Serebrennikov diffusa oltre le frontiere nazionali sembra una novità, un film di rottura col presente e con la tradizione cinematografica russa, ma in Europa verrà ricordato soprattutto (per non dire soltanto) per aver vinto, a sorpresa, la prima edizione della Festa Internazionale del Cinema di Roma. |