Un soffio, un momento e l’eternità, tutto e niente. Non vale la pena fermarsi a chiedere il significato della (propria) Vita, almeno fino a quando questo si traveste da fatalità, da imprevisto, da evento non desiderato. Si sente la necessità di capire, di ricostruire un nesso logico tra cause ed effetti, di cercare un senso al nostro passato, e di conseguenza al nostro futuro. In questo fermo immagine, riflesso del nostro io interiore, si sta come sospesi tra una realtà-reale (passata) ed una realtà-rappresentata, terra promessa della redenzione e dei buoni sentimenti. Un ospedale è un luogo mistico, l’altra faccia della vita, quella che vediamo di meno; spesso è un mondo di confine, tra l’esistere ed il morire, il sopravvivere ed il rinascere. Girare un film sulle paure, sugli incubi, sulla lotta di coscienza interiore, sulla condizione di uomo-malato non è semplice; trasmettere le sensazioni, le emozioni di chi il suo posto nel mondo lo sente preso in affitto, è una scommessa difficile. Eugenio Cappuccio, dopo il discreto successo di Volevo solo dormirle addosso, dopo lavoro e amicizia, torna a confrontarsi con uno dei temi più importanti della vita: quello della malattia. Ci riesce solo in parte, probabilmente perché colto all’improvviso (verso la fine del primo tempo) dal terribile virus-muccinus, uno dei più pericolosi e presenti nel cinema nostrano degli ultimi anni. L’austerità, il ritmo, la commozione dei primi trenta minuti vengono disintegrati da banalità e luoghi comuni, uniti a scene sconfortanti e scontate. La cosa più irritante è lo stacco netto e violento che si è creato tra il mondo-avvocati, champagne, tv a schermo piatto e il mondo-ragazzi, canne e falò in montagna… Una sceneggiatura irrimediabilmente superficiale, vista-rivista e stravista, con personaggi caricature di sé stessi (anche il buon Fabio Volo, seppur bravo, ricorda quello di Casomai e La febbre), poco incisiva e col solito finale da vissero tutti felici e contenti...
Che è la cosa più fastidiosa del mondo, perché questo ‘cinema catartico’ è pura illusione, un diversivo, un imbroglio. Si parla di ospedali e di morte, ma si esce dalla sala pensando a tutt'altro. |