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Recensione: Japón

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Japón
titolo originale Japón
nazione Messico / Spagna
anno 2002
regia Carlos Reygadas
genere Drammatico
durata 122 min.
distribuzione Sharada Distribuzione
cast A. Ferretis (El Hombre) • M. Flores (Ascension) • M. Serrano (El Cazador)
sceneggiatura C. Reygadas
fotografia D. Martinez Vignatti
montaggio D. MelguizoC. SerranoD. Torres
media voti redazione
Japón Trama del film
Un uomo di città, cinico e disilluso, arriva fino in Messsico per prepararsi alla morte. Trova alloggio presso una vecchia meticcia che abita da sola in un canyon desolato. Sprofondato nell'immensità di una natura vertiginosa e selvaggia, messo di fronte all'infinita umanità della sua locatrice, l'uomo oscilla fra crudeltà e lirismo. Vede risvegliarsi in lui l'ebbrezza dei sensi, il suo desiderio di vita e di cruda sessualità. La storia di una redenzione, fra rinascita esistenziale e slancio spirituale.
Recensione “Japón”
a cura di Andrea Olivieri  (voto: 7)
Un uomo lascia una città: strade che scorrono via, tunnel, statali deserte, fino alla campagna, un altopiano fuori da tutto...
Così comincia "Japón", viaggio alla ricerca della morte per riscoprire la vita.
Il film mette in scena all'inizio un road-movie, senza spiegare le ragioni per cui il protagonista decide di intraprendere un viaggio, lasciando la civiltà e il resto del mondo alle sue spalle: l'uomo appare sofferente, segnato nel fisico, sorretto da un bastone.
Egli porta con sé pochi oggetti: una pistola nella tasca del giubbotto, dallo zaino spuntano un catalogo d'arte e un walkman che ogni tanto usa per rompere il silenzio del film, permettendo anche allo spettatore di ascoltare le sue predilezioni musicali.
Il protagonista si addentra nelle montagne del Messico: ha lasciato dietro le spalle la metropoli e il suo fluire alienante, per ritrovarsi/riconoscersi nella miseria di un Messico che si aggrappa alle pietre per sopravvivere, che non conosce elettricità né acqua corrente; in questo ritorno drastico all’essenza vuole preparare la sua morte.
L'attraversamento del canyon viene mostrato a bordo di un fuoristrada, mentre l'uomo si isola nell'ascolto della musica diffusa dalle cuffie e il paesaggio scorre attraverso vetri sporchi e umidi di pioggia, per essere poi ripreso dall'alto, lungo una strada a tornanti che ricorda le tante percorse da Kiarostami nei suoi pellegrinaggi visivi.
Nel passaggio dalla notte al giorno e dalla città alla campagna si consuma, attraverso la soggettiva del protagonista, una gamma di colori, per terminare il viaggio con un'inquadratura in bianco e nero, dove tutto diventa sempre sfocato e avvolto da una nebbia persistente.
Raggiunto il deserto, l'uomo trova alloggio presso il fienile della casa di Ascen, un'anziana vedova indiana; degno rifugio di chi sta cercando il posto giusto e il momento opportuno per mettere fine a una vita e alle eventuali sofferenze che viene naturale "affermare".
Il viaggiatore scende dall'auto, il suo sguardo "vaga" avanti e indietro, famelico di perlustrare il terreno, al punto tale che l'osservazione delle zolle viene eseguita con un movimento in grado di trasformarle in macchie cromatiche degne del miglior Pollock.
Il protagonista può stendersi finalmente a riposare, mentre il suo sguardo percorre le travi di legno che reggono il soffitto.
Il regista ricorre nuovamente all'uso della sfocatura, ma lo fa stavolta alla maniera di Sokurov, che nel film "Madre e figlio" finiva con il creare una sorta di bolla irreale e ovattata, nella quale racchiudere e preservare l'intimità instaurata tra i due personaggi.
La tenerezza e la capacità di comprendere quanto stia provando l'uomo, illuminano gli occhi dell'anziana donna, ripresi a lungo in primissimo piano, mentre il rumore di sorde picconate provenienti dall'esterno mette fine a quel magico incantesimo: i parenti, aiutati da altri abitanti del posto, stanno iniziando a demolire il fienile.
La donna sale sul trattore insieme ai sassi, sottraendo non solo se stessa alla vista dell'uomo, ma anche la sua arma.
La musica si diffonde, cadenza le riprese, fruga il terreno per soffermarsi ora sui corpi, ora sui massi rovesciati in mezzo ai campi: il piano sequenza (tarkovskijano all'estremo, paragonabile a quello del finale di "Nostalghia") assume un ritmo ancora più commosso, accelerando sulle traversine dei binari, fino a concludere la sua corsa sul volto di Ascen.
...E fu così che il protagonista non si suicidò di fatto, ma solo simbolicamente: uccidendo man mano il suo modo di guardare il mondo, egli acquisterà una nuova vista, donatagli dall'anziana, che presuppone la capacità di sostituirsi a lei per continuare a vivere e a contemplare quello scenario.
A metà strada tra naturalismo e cinema meditativo, un racconto coraggioso e struggente sulle piccole emozioni nascoste nelle pieghe del quotidiano.
Ma la forza del film è nell'aver saputo rendere in immagini lo sguardo stanco di chi non si riconosce più nella vita.
Le frequenti soggettive sgranate come visioni di occhi vecchi, le panoramiche o le sequenze fisse di pura osservazione, non sono la cornice "poetica" di una storia di chi nega o rifiuta i Valori, bensì le facce di un luogo che si eleva a metafora di una condizione dell'anima senza tempo e riferimenti.
Al suo primo lungometraggio, Reygadas (anche sceneggiatore) confeziona un film difficile e coraggioso; un film che s'impone come esperienza per i sensi e il Senso.
Vincitore della Camèra d’Or al Festival di Cannes 2002.
Commenti del pubblico







Ultimi commenti e voti
Medaglia d'Oro (247 Commenti, 80% gradimento) giampaolosy Medaglia d'Oro 8 Aprile 2016 ore 19:19
voto al film:   7

Tra il neorealismo di Kiarostami il surrealismo di Buñuel e certi primi piani alla Leone, Reygadas mette in scena, da un lato un Messico lontano dalle rotte turistiche e da quelle del narcotraffico, lontano dalle cronache ma vicinissimo alla realtà che è anche quella di un continente intero. La povertà della campagna, della vita semplice, che lotta quotidianamente per non diventare miseria, degrado. Che è li' immobile e inamovibile da sempre come raccontava Marquez nei suoi romanzi con magico realismo. Dall'altro la figura del protagonista, fuori posto oggettivamente e anche per scelta che poco a poco non può esimersi dal diventare parte del luogo, della gente, del tutto. Il film cambia spesso registro dal punto di vista estetico, contrastando con la lentezza con cui scorre la storia, il quotidiano. Un lavoro complesso, difficile da digerire, cinico, pieno di simboli cinematografici e di un onirismo decadente in cui anche la musica gioca una parte nel creare contrasti spiazzanti.
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