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Una giovane, fragile e un po' ingenua ragazza di nome Betty arriva a Los Angeles con il sogno di divenire una grande attrice. Nell'appartamento che le presta sua zia incontrerà Rita, una donna sopravvissuta ad un incidente occorso a Mulholland drive, dove ha perso la memoria. Nella stessa città c'è un egocentrico regista che deve sottometersi ai produttori del suo film, che gli impongono la protagonista. Diverse trame che si intrecciano tra mistero e sogno, con i personaggi alla ricerca di una identità nascosta tra vita e morte, amore e sofferenza. |
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Un ballo sfrenato, un’inquadratura che si “poggia” sul cuscino, i titoli di testa che iniziano a fluire…Presagi di un’esperienza visiva e sensoriale senza eguali, di un viaggio filmico nell’inconscio più recondito, attraverso le (ormai) famose atmosfere oniriche di Lynch, maestro di allucinazione.
Una storia che è sogno e realtà, che costantemente e provocatoriamente sfugge al senso per rappresentare il significato, più lineare di quanto sembri. Hollywood viene pugnalata a morte senza rendersene conto, perché forse nessuno glielo ha spiegato, di certo non sarà lui, il regista, a farlo. Una catarsi paradossale, perché nel momento dell’uccisione si intravede una nuova vita, un nuovo Cinema, che lascia ben sperare per il futuro. E’ arrivato il momento di abbandonare completamente lo spettatore, di ridargli un minimo di dignità nel non dovergli a tutti i costi spiegare e illustrare trame di cause ed effetti, educandolo su cosa e come pensare. Chi non vuol capire questo film è libero di farlo mentre persino chi non lo capisce non può non rimanere affascinato da deliri visuali e musiche ipnotiche (di uno splendido Badalamenti), da scene surrealiste e atmosfere magnetiche. Quella nel Club Silencio è semplicemente magnifica, punto d’incontro tra empatia sensoriale e derisione del reale, quando l’emozione per l’ascolto di "Llorando" di Rebekah del Río si converte in incredulità di fronte ad un playback che continua a scorrere con la cantante a terra, priva di sensi…Poco dopo, quando l’illusione inizia a prendersi gioco di noi, la trama esplode nell’abisso di un cubo blu nel quale ci perdiamo. E’ qui che si raggiunge l’estasi di una narrazione libera definitivamente da consequenzialità e facili logiche, una chiave (blu) di svolta che vuole ammaliarci proponendoci l’idea di un risveglio dall’incubo che iniziamo a percepire, a temere, ma dal quale siamo attratti senza scampo. Le scene si susseguono impazzite, apparentemente sconnesse, terrificanti e persecutorie, dalle quali l’unica via d’uscita sembra l’eterno sonno. Ma è solo un abbaglio, un flusso di coscienza continua a vivere su sé stesso fino all’ultima, liberatoria parola: silencio…
Premiato ex-aequo con "L'uomo che non c'era" dei fratelli Cohen al Festival di Cannes 2001. |