"Come faccio a sapere se sono veramente il messia?"
Tratta dal romanzo di Nikos Kazantzakis “L’ultima tentazione”, la pellicola di Scorsese mette in scena l’umanità di Cristo: non quella fisica, alla Mel Gibson, ma quella interiore. La non dogmaticità dell’operazione ha generato la ‘critica preventiva’ del mondo cattolico, teso a salvaguardare i privilegi d’una dottrina indiscutibile. Dal confronto e dalla vittoria sulla censura il film ha acquistato vigore, una maggiore capacità di penetrazione. Spentisi gli echi delle polemiche, l’opera d’arte s’è mostrata per quello che è: l’analisi psicologica d’un uomo alle prese con qualcosa più grande di lui. Senza sapere la strada, il Cristo di Scorsese si trova a condurre verso una meta ultraterrena gente che lotta per la propria vita, contro la povertà, contro la fame, contro l’oppressore romano. È scelto da Dio per trovare una strada, dagli zeloti per trovarne un’altra. In nessuna delle due riconosce la sua. È un uomo spaventato, insicuro, alla disperata ricerca d’una guida: la trova in Giuda, un fratello, non un messo divino. Un uomo capace di scegliere il giusto in virtù d’una maggiore personalità e, soprattutto, della consapevolezza dell’immanente. Ma il progetto divino non sembra contemplare la giustizia terrena, e le speranze d’un miglioramento politico prodotto dall’azione del messia sono frustrate.
La debolezza di questo Gesù ha la meglio per un’ultima volta nel momento del trapasso: se Dio non volesse questo, per lui, ma altro? Ha dimostrato la propria fedeltà accettando di morire per lui. La terra è salva, ed ora potrebbe vivere dei suoi frutti. Se il suo compito fosse finito, potrebbe assaporare il piacere d’una vita alla quale ha rinunciato. Ma il suo compito non è finito, non esiste un’altra via, davvero deve morire. Non sta espiando i propri peccati, ma quelli dell’umanità. Finalmente convinto che sia giusto così, muore. Muore senza pensare d’essere stato abbandonato.
Paradossalmente, il Cristo laico di Scorsese esce di scena nel modo migliore, senza rinnegare il proprio operato, acquistando la fiducia nel Padre anziché perderla. Tutto questo è il risultato di un’operazione meditata, non un semplice copia-incolla delle esperienze precedenti. Pur con la tradizionale espressione alienata, Gesù non dà risposte, ma in primo luogo le cerca. A questo personaggio, così diverso dall’iconografia classica, s’affiancano due co-protagonisti: Giuda è il suo alter ego, sicuro nell’agire quando è necessario farlo, compagno, amico, primo degli apostoli, maestro del Maestro; Maddalena è la normalità, ciò a cui costantemente tende l’inconscio di Gesù, intento a conciliare le sue pulsioni umane col suo mandato divino. Sullo sfondo, le altre undici guardie del corpo al seguito d’un uomo, un profeta, il messia: non lo sanno, ma credono in lui nella speranza del cambiamento, della rivoluzione. Sono con lui per combattere, non per portare la buona novella: comprenderanno il proprio ruolo quando Gesù parlerà loro col cuore in mano; echi spielberghiani donano alla scena la crudezza d’una non metaforicità.
Il “mistero profondo e impenetrabile” di Kazantzakis trova però una soluzione. A scioglierlo è Paolo di Tarso, che predicando la resurrezione di Cristo afferma che Lui ha sconfitto la morte: è l’unico modo di vincere la più grande delle paure umane. A Gesù, che gli dice di non essere mai morto né risorto, accusandolo di predicare il falso, rivela il compito d’ogni religione, rispondendo: “Io ho creato la verità di cui loro avevano bisogno”. |
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Scorsese propone una visione personale della figura di Cristo, visto non come un profeta figlio di Dio ma come uomo comune: il suo Gesù e' schiacciato dal suo destino votato alla divinità, che gli impedisce di vivere una vita normale e come tutti gli uomini non e' indifferente al peccato e alle tentazioni (l'impossibile relazione con la sempre amata Maddalena). Un film coraggioso, complesso e visionario, meravigliosamente diretto e interpretato, che sbaraglia tutte le figure "classiche" della tradizione cristiana (la figura di Giuda, l'Ultima cena) e che quindi non si adatta a tutti i tipi di pubblico, anche se la visione rimane difficile da dimenticare. Bellissime le musiche di Peter Gabriel, che da sole catapultano lo spettatore nella Palestina di 2000 anni fa.
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Sorge il sospetto che ci siano un po' troppi Gesù in questo film (quasi un whitmaniano "mi contraddico: contengo moltitudini"), e che troppe strade siano imboccate senza percorrerle fino in fondo. Qui il limite e qui la ricchezza del film, aperto a soluzioni gnostiche, panteistiche, fideistiche. Certo, un Gesù ben più ricco e complesso di quello 'parrocchiale' di Zefirelli o Rossellini (Mel Gibson non merita nemmeno di essere preso in considerazione).
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finalmente,dopo anni, ho trovato la trasposizione cinematografica del libro che ha cambiato la mia adolescenza e la mia fede... Scorsese degno di Kazanztakis!! Ps: sublime Bowie nei panni di Pilato!!
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