Il tema è la vita, in bilico tra le aspettative di felicità e le vie sinuose del fato. Le tredici variazioni sono i brevi capitoli in cui è suddiviso il film della sensibile regista Jill Sprecher, anche sceneggiatrice insieme alla sorella Karen. In mezzo, i destini incrociati di alcuni personaggi a meno di "sei gradi di separazione" l'uno dall'altro che, semplicemente, esistono.
C'è chi è in profonda crisi, chi si aspetta ogni giorno un miracolo, chi è rampante e determinato, chi è logorato dall'invidia, chi riesce sempre a vedere il lato positivo delle cose. Ognuno dovrà fare i conti con le occasioni e le sfortune “svelate” dalla vita. Ad alcuni la sorte regalerà sorprese, ad altri opporrà un riso beffardo e crudele.
Sembra davvero di confrontarsi con la quotidianità di persone che non si conoscono, ma con cui si condividono intime vibrazioni e pensieri. Il rischio "teorema" è dietro l'angolo, ma i personaggi sono costruiti con quel pizzico di realistica follia in grado di renderli imprevedibili e quindi veri e comunicativi.
Scopriamo così che riuscire ad avere ciò che vogliamo può diventare la nostra maggiore sfortuna. Perchè l'appagamento può essere vissuto come rassegnazione e portare ad un'insoddisfazione senza reali motivazioni. E un biglietto vincente della lotteria può nascondere molti più guai che gioie.
Tutto sussurrato, senza soluzioni, al di là della consapevolezza, vissuto dai personaggi e comunicato allo spettatore attraverso quel filo rosso che, inevitabilmente, lega ciò che si vede sullo schermo con quello che la vita ci ha insegnato.
Può sembrare poco, banale, già visto, ma a volte è quasi terapeutico avere il tempo di fermarsi e pensare, senza arrivare a conclusioni soffocanti. Anzi, senza dover necessariamente arrivare a conclusioni.
Il film della Sprecher ha proprio questo pregio: racconta storie con cui potersi confrontare valorizzando, attraverso la potenza del mezzo cinematografico, i colori delle sfumature.
In concorso alla 58ma mostra del cinema di Venezia. |