1926, Murnau trascina in scena il mito di Faust: guerriero tedesco diventato terribilmente popolare e attraente fino al delirio.
Murnau scopre le ombre e attraversa le espressioni, trascinando nelle pareti cinematografiche pensieri e corpi dilaniati da luce e oscurità, continuamente eccessivi, straordinari nel chiarire l’essenza di un personaggio del dubbio, dell’eroe nascosto, emerso dalla terra. L’angoscia del film coincide esattamente in quella di ogni sguardo, tutti perfettamente segmentati all’inquadratura; lo stile tedesco, dilaniato dall’espressionismo, invade Murnau e trasforma il film in un’ossessione diabolica dove si ascoltano i più efferati dialoghi muti.
Il male e il bene, la peste e l’amore sono contrasti e incastri, il bianco e il nero, accentuati da immagini esoteriche al limite della visibilità; spesso ci si lascia confondere dalle impressioni e si finisce per essere rapiti. Quando il Dottor Faust incontra Margherita, amiamo improvvisamente, le ombre di Murnau sfumano in ampie lucentezze che traspirano, le immagini si allargano e sembra quasi che la pellicola prenda colore.
Amore e morte sono il dubbio di Faust.
Il gioco e una scommessa sono il patto tra Dio e Mefistofele.
Murnau è il mezzo, o meglio il grande Artista. |