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Recensione: Crossing the bridge - The sound of Istanbul

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Crossing the bridge - The sound of Istanbul
titolo originale Crossing the Bridge: The Sound of Istanbul
nazione Germania / Turchia
anno 2005
regia Fatih Akin
genere Documentario
durata 92 min.
distribuzione Fandango
cast A. Hacke (se stesso)
fotografia H. Dieu
montaggio A. Bird
uscita nelle sale 1 Settembre 2006
media voti redazione
Crossing the bridge - The sound of Istanbul Trama del film
Un documentario sulla vita culturale di Istanbul, città ponte tra Oriente e Occidente, con particolare riferimento alla musica. Un viaggio alla scoperta del vasto panorama di generi sperimentati dagli esponenti della musica turca: dal rock all'hip-hop alla più tradizionale musica araba.
Recensione “Crossing the bridge - The sound of Istanbul”
a cura di Glauco Almonte  (voto: 5,5)
Attraversando il ponte sul Bosforo, Alexander Hacke (già inviato da Akin ad Istanbul alla ricerca di suoni per La sposa turca) si interroga su una città sconosciuta: è venuto per registrarne la musica, perché – seguendo Confucio – per capire la cultura di un luogo devi ascoltarne la musica.
Però Akin si limita a capire la musica di questo luogo, abbracciando pop, rock, hip-hop, underground, rap, freestyle e la loro contaminazione con i suoni e i ritmi della tradizione turca; la cultura della città dai molti nomi, ambito punto d’arrivo, rimane celata dietro l’impenetrabilità di una storia, di una tradizione che solo negli ultimi anni trovano espressione nei suoni che Hacke raccoglie.
Inoltre il metodo sembra poco affinato: Akin dà l’impressione di procedere senza un filo conduttore, l’indagine si riduce ad accumulazione di esperienze uditive. Il senso dei primi piani, dei dettagli colti frequentemente dalla macchina esperta, perde intensità quando si compiace un po’ troppo perseverando nell’indagine dell’espressione di alcuni musicisti anche ad esecuzione finita. La correlazione tra musicisti ed attori, funzionale mentre essi suonano, stride col concetto di documentario nel passaggio dal trasporto dell’interpretazione ai sorrisi del ‘dopo’.
Nella seconda parte, prima del finale, per un attimo la musica ritorna colonna sonora, unendo l’oggetto allo strumento dell’indagine: peccato che quest’attimo di evasione rimanga isolato, quasi un errore in un percorso troppo materiale.
Particolarità, varietà e valore delle musiche rimangono: ma il film perde molti dei suoi pregi se si considera che la bellezza della musica non è un merito ma il pretesto. Il parallelo tra musica e città ci consegna forse troppo sfaccettata la tesi di una città multietnica, attraverso la quale sono passate culture diverse, lontane, contrastanti, ognuna lasciando il proprio segno: Istanbul è il Bosforo, la sua bellezza è anche la sua anima; una sola anima che racchiude in sé, fondendoli, Oriente ed Occidente, niente di più lontano dallo scontro di civiltà di cui oggi fa moda parlare.
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