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Tratto da un best-seller di Lauren Weisberger. Nel rutilante mondo della moda di New York, dove una brutta giornata può significare la fine della carriera, la rivista 'Runway' è il nuovo Santo Graal. Diretto con elegante pugno di ferro da Miranda Priestly 'Runway' è il sogno proibito di chiunque sia deciso a sfondare in passerella. Essere l'assistente di Miranda Priestly è un'opportunità per la quale milioni di ragazze a New York "sarebbero disposte ad uccidere". E in effetti, un'occasione come assistente di Miranda potrebbe spalancare le porte anche per Andy Sachs, fresca di college... |
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New York, Parigi, Fashion, Trendy, very very VIP: se ci fosse ironia, potrebbe quasi passare per una puntata di “Sex and the City”; e sarebbe meglio.
“Il diavolo veste Prada” getta una ragazza ingenua della vita (ah, avere una 42 e portare un maglione infeltrito, da dove sarà uscita fuori) in un mondo estremamente duro da affrontare, fatto di sorrisi, tacchi alti, borse preziose quanto più inguardabili e collezioni da creare, scartare e ridisegnare da zero: finché Andrea (Andy, per ovvi motivi) deve portare il caffè e appendere la giacca del capo va tutto bene, quando il lavoro si fa un minimo interessante la sua vita entra in crisi.
Stringendo, perché il film mira a stringere inseguendo una morale, una ragazza intelligente entra a contatto con un mondo superficiale che disprezza: man mano che lo comprende, inizia a giustificarlo e a cambiare pur di trovarsi a suo agio al suo interno. Essendo sveglia fa strada, ma accantonare le proprie aspirazioni, rinunciare ai vecchi amici e al fidanzato non è la strada per la felicità: infatti, gran colpo di scena, volterà le spalle al successo nel campo della moda per dedicarsi al giornalismo, suo primo sogno (e poco importa se le referenze per farla assumere arrivano proprio dal suo capo di “Runway”).
Dispiace essere caustici, ma la trama è ridicola: si salva l’idea di rappresentare un mondo ancora poco conosciuto dall’habitué del grande schermo, ma questo non giustifica il corollario di luoghi comuni. Il buonismo degli ultimi dieci minuti è stucchevole, con la protagonista che fa pace con tutti, mantenendo il rispetto dell’ex-capo e recuperandolo dove lo aveva perduto. Il ritmo è quasi infantile, ogni 5 minuti la storia si evolve e accade esattamente quanto lo spettatore aveva previsto: va bene che è una commedia e non un thriller, ma a chi guarda un film, di solito, non dispiace essere sorpreso di tanto in tanto.
Quello che è grave, è che il film non è vuoto come il mondo che rappresenta, ma vuole mandare un messaggio, anzi due: una persona intelligente riesce a cavarsela meglio di una stupida e meglio seguire le proprie propensioni, i propri sogni, piuttosto che rovinarsi la vita per un lavoro che si disprezza. Grazie, ce n’era veramente bisogno.
Quel che rimane, di positivo, è una Meryl Streep a suo agio in un personaggio ‘cattivo’, duro, scontroso ma efficace sul lavoro, a metà strada tra lo spregevole e l’eccesso di professionalità: una sorta di Crudelia De Mon (si agita meno di Glenn Close, ma è simile nel modo di affrontare il personaggio) lanciata nella New York del duemila. Niente di straordinario, d’altro canto dove non c’è film è difficile che possano esaltarsi gli interpreti, ma è curiosa la sensazione che sia un personaggio caro all’attrice ormai prossima alla sessantina. In “Radio America” era stata una splendida, insignificante cantante country: quando non esiste il film, l’attore cerca se stesso per tirare fuori qualcosa di buono; quando esiste il film (e che film) l’attore recita. |
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