"Les Amants."
Amore e perdizione. Un atto del destino. Percezione storica dell’assoluta astrattezza materiale. La nostra sapienza di amanti: fino all’ultimo (possibile) respiro.
L’amore è il tempo che passa. Gelosia, maschere, follia. Chirurgia plastica e identità plurali. Può un nuovo volto rinnovare la passione? Essenziale e apparentemente privo di particolari elaborazioni, il tredicesimo lavoro di Kim Ki-duk assorbe e rispecchia in sé tutte le contraddizioni e i conflitti del vivente.
Chiudere gli occhi nel terribile frastuono del nulla. L’amore sembra l’ultimo rifugio. Duole il corpo, duole la memoria. Quel lungo, silenzioso, guardarsi amoroso di notte, consapevoli di quel 'furore' esistenziale sospeso e incantato, quando fuochi improvvisi che rischiarano l’oscurità del vedere corpi, indugiano distrattamente sulla persistenza del nostro sguardo. Corpi sospesi, distanti e vicini, esausti e disarmanti; corpi infissi in un istante senza tempo. Fragili nel loro compiersi.
Qui tutto si tocca, si sfiora in una inesausta e sensibile rivelazione dell’altro. Un movimento 'inconsulto' può rovesciare un’assenza in presenza e vita: quello del maestro coreano è un cinema che si sottrae a se stesso, ma che mostra una spiccata capacità strutturalista, ottenuta da un andamento ad incastri, capace di costruire una perfetta sintonia dell‘'abbraccio perduto', che libera la materia (intima) pulsante e incasella le emozioni in un teorema filmico vibrante e appagato.
La forma è solo un principio. Tra un desiderio trasversale, una rivelazione irrazionale, in una sorta di traduzione dalla prosa alla poesia.
L'amour fou: per l’ideologia, per il cinema. |