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Recensione: Il tempo che resta

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Il tempo che resta
titolo originale Le temps qui reste
nazione Francia
anno 2005
regia Francois Ozon
genere Drammatico
durata 85 min.
distribuzione Teodora Film
cast M. Poupaud (Romain) • J. Moreau (Laura) • V. Bruni Tedeschi (Jany) • D. Duval (Il padre) • M. Riviere (La madre)
sceneggiatura F. Ozon
musiche B. Taillandier
fotografia J. Lapoirie
montaggio M. Coleman
uscita nelle sale 23 Giugno 2006
media voti redazione
Il tempo che resta Trama del film
"Le temps qui reste" è il secondo capitolo di una trilogia sul lutto che Francois Ozon ha iniziato con "Sotto la sabbia". Qui siamo nel mondo privato delle persone, nella loro sfera più intima, dolorosa e segreta. Ozon racconta con straordinaria sensibilità gli ultimi giorni di vita di Romain, un giovane fotografo di successo, che scopre che non gli restano più di tre mesi di vita...
Recensione “Il tempo che resta”
a cura di Andrea Olivieri  (voto: 7)
"Eroi perduti."

Nella penombra (sovresposta) della malattia, s'indovina la paura; quella invincibile, a cui non ci si può sottrarre, che non si riesce a illuminare. Il terrore per il fatto che 'a un tratto si spezza qualcosa'. Panico: perché è un 'dentro' non solo incontrollabile, ma fatale, debilitante, incontrovertibile. E allora il tempo limitato entro confini precisi diventa il campo in cui si consuma la presa di coscienza. Lo spazio cinematografico è un evanescente sacrario dei Sensi: nello spirito, lo sono i gesti e le parole, la verità e le passioni rivelate; corpi-oggetti non più desideranti, ma deformati dalla luce accecante, che abbraccia per forza verso il 'definitivo' e consegna commossa all’eroe 'folle', la possibilità di indovinare 'tutto il resto'. Quello che emerge dalla penombra: il dentro che fuoriesce inseguito dalla pulsione corporale (l'intimità dei corpi) e si nutre della conoscenza e delle aspettative: l'amore è solo una lunga attesa di risposte a domande pressanti presenti in ognuno di noi. Perché la complessità dell'anima dalla rappresentazione dei corpi dei protagonisti, deve consumarsi in solitudine, ma con la percezione di essere compresi sulla pelle e nello sguardo, nei vissuti e nelle visioni.
Il rapporto fra presenza e assenza, fra corpi e fantasmi e, ovviamente, fra vita e morte: alla ricerca dei 'lividi' che occupano l’ostinazione della realtà. La luce adottata è quella di un eccesso di luminosità, che irradia intorno a sé la propria essenza e finisce con il nascondere anziché evidenziare proprio nel momento che pone sotto i riflettori e giunge a spogliare la 'materia'. La contorsione di corpi infelici alla ricerca di un piacere disperato diventa una 'necessità'.
Il cinema di Francois Ozon entra all’interno dei conflitti privati (paura primordiale) lasciando progressivamente sgretolare e rivelare le pulsioni più riposte dei suoi protagonisti: non è solo il corpo 'un gioco di sottrazione' (inerzia della mancanza di vita), ma anche e soprattutto ciò che è la persona, ad abbandonare il 'simbolico' e cercare disperatamente una dimensione per riproporsi diverso da quanto era in precedenza (senso di colpa). Mostrandoli come sono e privandoli del futuro, Ozon scaglia i suoi personaggi contro un (dis)equilibrio tra 'osservare' e 'sentire', in un’intimità sottile, fragilissima, ma proprio per questo impermeabile ad ogni contatto esterno. C’è un’immagine da una parte e un occhio che la osserva.
Presentato in concorso a Cannes 2005.
Commenti del pubblico







Ultimi commenti e voti
Medaglia d'Oro (247 Commenti, 80% gradimento) giampaolosy Medaglia d'Oro 12 Aprile 2016 ore 18:07
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voto al film:   8

Come faccia Ozon a trattare con delicatezza e commovente sensibilità tematiche che è molto più facile banalizzare solo lui, che è un maestro, lo sa. Il mare ritorna all'inizio e alla fine del film come un'ossessione, così come in Sotto la Sabbia, dove praticamente è il protagonista. E' un mare che da l'idea del ricordo e dell'abbandono a cio' che di più ineluttabile esiste nella vita, la morte. In mezzo c'è il tempo che resta raccontato con maestria e un tocco unico.
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