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Recensione: Alambrado

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Alambrado
titolo originale Alambrado
nazione Argentina / Italia
anno 1991
regia Marco Bechis
genere Drammatico
durata 90 min.
distribuzione Mikado Film
cast A. Maly (Harvey Logan) • J. Lustig (Eva Logan) • M. Kalwill (Juan Logan)
sceneggiatura M. BechisL. Fremder
musiche J. Lederlin
fotografia E. Courtalon
montaggio N. BaragliP. Mari
media voti redazione
Alambrado Trama del film
Siamo in Patagonia (Alambrado significa filo di ferro), dove due ragazzini con il proprio padre sono lontani dalla civiltà e in un isolamento quasi totale. Questa tranquillità viene compromessa da una grossa impresa che vuole rilevare la terra per farne un centro turistico. Il padre non è d'accordo mentre i figli sono attirati dalla novità. La tragedia è dietro l'angolo. Il fil di ferro del titolo è quello usato dal protagonista per delimitare e proteggere la propria terra.
Recensione “Alambrado”
a cura di Andrea Olivieri  (voto: 7)
Harvey, un anziano scozzese abbandonato dalla moglie, vive con due figli adolescenti Eva e Juan, in una casa isolata della Patagonia.
All’arrivo degli emissari di una multinazionale che vorrebbe dare sviluppo turistico alla desolata landa di vento e di polvere, il vecchio si oppone, costruendo un grande recinto di paletti e fil di ferro.
Epilogo tragico.
Al di là dell’ultima abitazione "civile", un microcosmo di case, già elementi fantasma fonti di apparizioni e sparizioni, esiste infatti un’ "ultima" casa, immersa/emersa in terreni sconfinati e vuoti.
"Last Hope" è chiamata quella zona, e proprio quelle terre sterminate, piatte, inespressive, lacerate dal vento incessante, in cui diventa impossibile sognare, sono il set di un delirio imploso, anche nei momenti di maggiore crudeltà, di follia omicida, di urla e gesti ripetuti e estenuanti che possono manifestarsi, ancora una volta, in maniera diversa.
Basta l’assenza del vento a smuovere, ma solo per poco, l’incubo diventato quotidianità.
L'unica difesa per sopravvivere a speculatori venuti da lontano per spianare anche quella parte di mondo, è costruire un alambrado, un lunghissimo steccato per delimitare la proprietà.
È quanto fa il vecchio Logan, mentre i figli complottano coi corpi e inseguono altri incubi.
In quel territorio dove "mi piace non vedere niente intorno", dice Logan, possono stipularsi accordi incestuosi; pudori possibili sono stati lasciati indietro, chilometri prima, magari, ancora nell’ultimo microcosmo abitato.
Eva e Juan lottano e complottano fin dall’inizio, nascosti, preservati per poco allo sguardo e poi scovati.
Unica possibilità, lasciarsi assorbire da uno spazio mentale, da un tempo ripetitivo.
Tanto, da quella prigione non si può scappare. Tentare, sì. Ma non di più.
Bechis lavora spesso su campi lunghi, poi, chiude sui corpi, sta loro addosso con la camera a mano per poi abbandonarli.
Nessuna gentilezza, nessun perfezionismo.
"Alambrado" è fatto di fughe e contro-fughe, tentativi di distruggere gli spazi e impossibilità a superarli.
Povero di fatti e ricco di echi e di sensibilità, quest'opera prima, è un insolito film di vento, isolamento, solitudine, desolazione e follia.
Non un film di confine, di frontiera. Ma un film oltre il confine, oltre la frontiera.
Presentato al Festival di Locarno nel 1991.
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