Ci sono film che quando hanno qualcosa da dire lo urlano con una sceneggiatura ricca di dialoghi che rasentano lo slogan, altri invece dicono semplicemente le cose come stanno e la loro forza e autorevolezza proviene dalle personali esperienze di chi ha vissuto sulla propria pelle le vicende che il film narra.
Questo è il caso di “Rachida” e della sua regista Yamina Bachir Chouikh.
L'Algeria come terra di contraddizioni: è questo il ritratto che viene fuori dall'opera prima della regista algerina, qui al suo esordio dietro la macchina da presa dopo essere stata montatrice e sceneggiatrice.
C'è il contrasto tra il vecchio e il nuovo, tra le tradizioni e il desiderio di novità che porta ad introdurre elementi occidentali.
E soprattutto c'è la storia di un paese pieno di vita che ogni giorno deve fare i conti con la morte, in cui la gioia che si legge negli occhi dei bambini viene offuscata dalla paura.
I colori e i profumi dell'Algeria si mescolano così a quello del sangue innocente versato nelle strade, i canti delle spose diventano le urla delle donne stuprate. La rabbia, l’indignazione e il dolore di Rachida sono quelle di tutto il popolo algerino, colpito dalla piaga del terrorismo, dove la paura paralizza gli animi e la volontà. In mezzo a tanta violenza e disperazione, le uniche alternative rimangono la cultura e l’educazione, ovvero la speranza nel futuro.
Ma non si tratta di speranza passiva, così vicina alla rassegnazione, bensì la convinzione profonda che le cose possono cambiare solo quando non ci si arrende né alla paura né alla collera, e si continua a combattere con armi diverse, alla lunga più efficaci.
È ai bambini che la regista consegna le sorti di un mondo che oggi non sa immaginare altro che il far scorrere sangue su sangue. Se c’è chi ha ormai irrimediabilmente fallito, dall’altra parte c’è ancora qualcuno che è in grado di fermare la follia umana. Quello che i padri non sanno fare, potranno realizzarlo domani i loro figli.
Yamina Bachir Chouikh ha sollevato il velo del silenzio con un film coraggioso, e poco importano alcune ingenuità stilistiche o scelte narrative troppo didascaliche.
L'Algeria è lo specchio di ciò che potrebbe succedere nel resto del mondo a breve, ossia vivere costantemente nel panico, in una perenne paura che mangia l'anima.
Presentato al Festival di Cannes 2002.
Premio opera prima al France Cinema Festival 2002.
Premio del pubblico al France Cinema Festival 2002. |