"Pedar" è un film che, come l'autore stesso ha ricordato, parla di cose semplici e universali, di fatti che superano ogni confine culturale e che sono presentati pertanto, con quel linguaggio dell'arte, (in questo caso filmica) comune a tutti come un vero codice.
La storia è semplice e gli attori stessi non sono dei professionisti. Ma gli occhi mesti del ragazzino che torna dalla città, dove ha dovuto recarsi per lavorare da quando il padre è morto in un incidente, sono tanto intensi da catturare immediatamente lo spettatore.
Al suo arrivo però, Mehrollah ha una brutta sorpresa: la madre si è risposata con un ufficiale della polizia e per lui questo è un vero tradimento.
Da qui si sviluppano alcuni rocamboleschi eventi, fino alla una fuga in città di Mehrollah e del suo amichetto, un bambino costretto a lavorare nei campi per il cognato, sotto la minaccia costante delle percosse.
Per lui Mehrollah è un eroe e non un altro ragazzino, tormentato dalla memoria struggente del padre morto e dall'angoscia della nuova vita incominciata dalla madre. I due verranno infine raggiunti dal patrigno e quando, durante il ritorno a casa, la moto lascia i due insoliti rivali in mezzo al deserto, la narrazione raggiunge il suo apice.
L'ufficiale è un uomo buono, innamorato della madre di Mehrollah, ma non è capace di conquistare il cuore del fanciullo così indurito dalla vita. Ci riuscirà soltanto la forza della sopravvivenza, a unirli in una lotta contro la morte per disidratazione nel torrido deserto centro-asiatico.
Nel deserto vediamo per la prima volta un elemento che contraddistingue fortemente la cultura iraniana, pur in una storia come questa che potrebbe essere ambientata ovunque: la solidarietà, che nasce spontaneamente oltre ogni conflitto laddove la natura rappresenta ancora un pericolo mortale per l'uomo solo.
L'insegnamento è chiaro come il film, mentre la splendida fotografia riporta a un realismo che cattura senza riserve. |