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In Messico Javier Rodriguez è un poliziotto che lavora al confine con la California. Insieme al collega Sanchez, si trova coinvolto nella corruzione, malgrado gli sforzi per non essere invischiato. Negli Stati Uniti, Robert Wakefield è nominato, dal Presidente capo anti-droga, alla Suprema Corte di Giustizia nello Stato dell'Ohio. Wakefield dà inizio ad una supervisione delle task force del Paese e comincia a collaborare con le autorità messicane... |
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Tre storie incastrate e incorniciate tra loro, sulle tenebre della droga, sul traffico umano che l’alimenta, sulla disperazione dipinta a caratteri cromatici.
La luce di Tijuana ha il tono giallo-afoso come se svelasse la malattia di quel paese e la corruzione estrema in cui è assorto. Gli (anti) eroi sono due poliziotti messicani, strappati alla strada per essere succhiati dalla strada, Javier e Manolo si perdono nel loro paese che trascina in sé un dilagare continuo di contaddizioni e pericolo.
Washington e l’Ohio sono dipinte di blu, gelido come le pareti del giudice Robert Wakefield, capo anti droga, nominato dalla Corte Suprema proprio a Tijuana ma incapace di dare calore a se stesso e a sua figlia, travolta proprio dai ripidi gorghi della droga, assuefatta sino al limite di vendere il corpo per continuare a distruggerlo.
San Diego invece appare neutra, il cielo ha un chiarore uniforme, attorno ad Hollywood tutto sembra pulito. Due agenti della DEA, un marito e una moglie sporcano il disegno perfetto.
Armonie cromatiche al servizio di un racconto, Steven Soderbergh e lo sceneggiatore Stephen Gaghan costruiscono uno dei film più riusciti degli ultimi anni; telecamera a spalla intrecciano i fili, li nascondono, li sciolgono, tracciando percorsi e destini sviluppando ogni personaggio in sfumature, vita privata, contrasti, caratteri.
Tutti i luoghi sembrano lontanissimi eppure si toccano, uniti dallo stesso dramma, paralleli nell’incrociarsi, la fitta ragnatela di 'Traffic' scivola perfetta e unisce percorsi e protagonisti.
La recitazione è stellare, nessun personaggio sbaglia ruolo ed ogni ruolo diventa epico lasciandoci assaporare la luce che ne contraddistingue la storia. Passiamo continuamente dall’arido al gelido, con impressa la sensazione di un meccanismo a noi superiore, terribile e allo stesso tempo sotto gli occhi di tutti.
4 meritatissimi Premi Oscar nel 2001. Miglior Regia, Miglior Attore Non Protagonista ad uno straordinario Benicio del Toro, Sceneggiatura e Montaggio. |
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Ultimi commenti e voti |
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Nonostante la densità della trama - comunque si parla di quattro storie intrecciate - e un cast al limite dello straripante per la qualità, il film non si perde tra i rischi di una superproduzione stellare e regala due ore e passa di grande cinema. Assolutamente azzeccati i contrasti cromatici tra i differenti scenari e la colonna sonora minimal, nonché la commistione di attori solo a prima vista inconciliabili tra loro. Fa luccicare gli occhi, tra le varie performance, la presenza di Tomas Milian assolutamente all'altezza della situazione.
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Questo film è un capolavoro sotto ogni punto di vista, dalla colonna sonora minimal (simile a quella in Sesso, Bugie e Videotapes) alla sceneggiatura patchwork, dalle interpretazioni di Benicio del Toro e di Michael Douglas alla regia ed alla fotografia a colori alterni. Semplicemente splendido.
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Davvero bello!
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