"Identità nomade."
Evocazione e simbolo. Il cane e il corpo: geometrico e minerale, mistico e terrestre, il più possibile semplice e vero e il più possibile astratto. Luoghi ai margini della civilizzazione, oasi di vita sconosciuta e intensa. In questo scenario immutabile si muovono ancora famiglie nomadi dedite alla pastorizia e alla cura del bestiame in totale coesione con la natura.
Esiste un territorio che viene prima della storia, del racconto e coincide con la definizione di un'identità e la connotazione di uno spazio. Non qualcosa di evanescente o stereotipato, piuttosto una proposizione di un modo di vivere, di pensare. La forma umana. Lo 'stato delle cose': per cercare di cogliere, attraverso sguardi non arresi, da qualunque parte del mondo essi provengano, gli istanti e le tensioni della quotidiana lotta dell’uomo per la sua sopravvivenza, per il suo diritto a custodire un posto sulla terra.
Purtroppo però l’intento ad indagare soprattutto la deriva morale della modernità, mostrando l'arte 'separata', solitaria, persino scontrosa, delle traiettorie visive che si fermano e ripartono - rimettendo in moto assieme ai loro meccanismi lo scorrere degli eventi - viene sostituito presto da un'altra 'immagine' (estetizzante), traccia di un movimento angosciante, poiché non sublima il desiderio. Questa 'Estetica' innalza sicuramente il non finito, l'imperfetto; a 'regola' estetica, ha messo ordine nel caos della 'presa di coscienza', ma il 'legno' delle sculture (teorema) del percepire, diventa allora la materia dell'esposizione, ruvida, grezza, povera, di una pellicola a metà esatta tra documentario e finzione. Questa realtà dimora sullo schermo, si fa percepire e con essa perdono d’essenza i 'motivi', i sentimenti, le idee. I corpi fisici e le persone appaiono come 'particolari di base', concetti primitivi. Gli eventi mentali, di 'rappresentazioni' vengono eliminati. I pensieri, assumono di conseguenza il 'torto' di essere entità private e non 'pubbliche'. La 'purezza' di un cinema del sentimento, è perciò la falsa coscienza affrontata con l'ingenuità di non credere ad un cinema che deve tornare a interessarsi della vita, dei destini degli individui, delle contraddizioni e di tutto ciò che può far pensare ad un cambiamento.
Situazioni di viaggio, di passaggio: non sono bastati dei nobili propositi per convincere, ma il cinema di Davaa si aggira tra dimensione quotidiana e mito semplice con plausibile onestà di toni. |