Manuela è una donna, una madre, un’ex-attrice, il perno attorno a cui Almodóvar fa girare l’azione di questa stupenda analisi delle problematiche di esser donna, in ogni modo possibile, sia per chi lo è, per chi aspira ad esserlo, per chi non ne riesce a capire la fortuna.
Manuela vive a Madrid, dove è scappata per portare suo figlio via dal suo passato, sperando così di farlo crescere lontano da tutte le sofferenze che lei aveva vissuto e dal suo compagno, Lola, figura androgina, estrema e distruttiva.
La morte del figlio segnerà un punto di rottura nella sua vita e l’inizio dell’azione. Tornerà indietro, tornerà a Barcellona, lasciando la regolarità della capitale in cerca di quelle radici, di quella parte del suo passato che aveva cercato di tacere al figlio e che lui rivendicava come un diritto, un bisogno fisico.
La città tanto cara al regista è scenario perfetto delle vicende e sembra, con i suoi disegni arabeschi, la sua complicatezza barocca che sovrasta negli esterni, entrare nelle case private e nell’intimo dei personaggi o, viceversa, esserne estensione.
Si racconta la storia che il giovane Esteban sognava di scrivere, la storia di sua madre, ma di cui lui è solo l’introduzione. Sarà la stessa Manuela a rivivere, ricordare direttamente ciò che aveva vissuto e a terminare ciò che aveva lasciato in sospeso.
La casualità, gli incontri, i ritorni come il ripetersi della vita, la sua ciclicità, sempre uguale eppure sempre diversa. Saranno vari personaggi ad accompagnare Manuela, le donne di Almodóvar, dell’ Almodóvar di “Tutto su mia madre”, prime donne nello spettacolo della vita, ognuna con le sue particolarità, con i suoi piccoli difetti e problemi e proprio per questi stupende.
Rosa, una giovane ingenua e sognatrice, pronta a dare tutto per il prossimo e che si scontrerà con la dura realtà della vita, Huma, un’attrice famosa, star stanca, cinica e annoiata, Agrado, un transessuale, che portando maschere reali è l’unica a non nascondersi dietro quelle invisibili.
Almodóvar lega con un nodo invisibile la storia al teatro (Un tram che si chiama Desiderio) portando le sofferenze della vita sul palcoscenico e facendole ritornare a sua volta dietro le quinte, a significare la continuità dei due palchi, e queste singole donne sono i tasselli del grande mosaico che il regista così compone, nella sua ricerca e indagine dell’universo femminile quasi cercando, fissandole, di riuscire a capirle, o semplicemente celebrandone la bellezza immensa ed emozionante.
Vincitore di un Oscar e pluripremiato al Festival di Cannes ha ricevuto premi e riconoscimenti nei maggiori concorsi e festival di cinema internazionali. |
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L'apice della tecnica registica e del messaggio di Almodovar, che mai come in questa pellicola innalza la potenza delle donne, la loro capacità di resilienza fisica e psicologica, la forza di andare oltre a uomini egocentrici o ridotti a masse indistinte come sagome di cartapesta di sottofondo. Film sulla vita e inneggiante alla vita, con la morte ben presente ma sempre affrontata a testa alta.
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Melodramma vorticoso,rapidissimo quasi farsesco. Si piange e si ride e sembra di stare sulle montagne russe. Il Capolavoro di Almodovar o almeno il film che ne certifica lo status di Maestro del Cinema. Un film sulla vita, un film sul cinema.
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