"In gioco resta sempre il buio allucinato."
Sussurri insinuanti e grida falsamente liberatorie. Sguardi (e) omicidi. L’illusione costituita dal fantasma di una libertà in grado di condurre fuori dello schermo. Camera (con vista) che separa il film da chi guarda; solamente attraverso lo sguardo è possibile dare un senso al mondo. Allora l’immagine vorrebbe spiegare come questo film, all’apparenza così aggrovigliato, abbia piuttosto il carattere di uno scavo drammatico compiuto con l’intrusione della fantasia e in uno stato di sogno, quasi andasse alla scoperta di una 'soluzione' sconosciuta. Nei vissuti e nelle visioni.
Cinema per forza verso la fallibilità emotiva. Una diretta allegoria della vita contemporanea, imputridita dai germi della corruzione e dalla furia di godere: nelle figure la proiezione dei propri interrogativi umani e artistici, nei gesti repulsivi dei personaggi e negli sguardi torbidi, dove fanno ingorgo gli stimoli della carne e la smorfia della virtù è sentita come l’invocato approdo di un viaggio. "Due volte lei" esplora 'miti' e 'leggende' dalla forma esistenziale, preparando il terreno per l’irruzione dell’irrazionale in un ambito che a priori è più che normale, 'caricando' lo spettatore di seduzioni fantasiose che disperdono i sensi e rimescolano le carte, ombre e fobie, ma finendo col rinchiudere l’astratto 'furore' dalla valenza simbolica, nella sua 'brutale' evidenza di 'storia particolare' (stereotipi). Cercando di ritrovare (creare) una coerenza interna alle immagini, il tedesco Dominik Moll finisce per smarrirsi nella sinuosa tensione furtiva di un thriller psicologico ricco di spunti e notevole originalità, ma che non rinuncia a flirtare con i manierismi e le convenzioni del genere: l’occhio che spia ogni oggetto e ferisce, in primo luogo, se stesso.
Presentato in concorso a Cannes 2005. |