Quando nel 1975 uscì Lo squalo, terzo film dell’allora ventisettenne Spielberg, in pochi credevano in un successo così ampio in termini sia d’incassi che di pubblico. Fin dai primi giorni invece, risultò chiaro che si stava di fronte a qualcosa di profondamente nuovo: come già sperimentato in Duel, la paura sottile e perversa correva lungo i fili di una minaccia invisibile, angosciante perché pronta a colpire in qualsiasi momento, un momento che però sembra non venire mai…
Impossibili i paragoni con gli effetti speciali dei giorni nostri, da un lato è commovente vedere finalmente lo squalo uscire dall’acqua che sembra più un pupazzo di plastica che un “mangiatore di uomini”, dall’altro la forza emotiva del film sembra proprio essere la tensione racchiusa nella sua idea più che nella sua sostanza. Un thriller, quindi, che punta sull’immaginazione dello spettatore, creando in lui una sorta di masochista complicità, invece di bombardarlo con sole suggestioni visive. D’altronde, una delle caratteristiche del successo di Spielberg è proprio la sua innata capacità di dare il potere a ciò che è fantastico e intangibile, sia che si tratti di thriller che di commedie, basti pensare a E.T, Incontri ravvicinati del terzo tipo, Duel. I meriti del film, divenuto ormai un cult, vanno ricercati anche nelle perfette interpretazioni dei tre protagonisti, oltre che ad una sceneggiatura perfetta nel delineare i tratti psicologici e i caratteri profondamente diversi di ognuno di loro. Se poi a questo si aggiunge anche una ipnotizzante, livida colonna sonora scritta magistralmente da John Williams è intuitivo comprendere come il film abbia potuto vincere tre Oscar (i primi del regista dell’Ohio), rispettivamente per miglior montaggio, sonoro, e colonna sonora. |