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Un dramma che scorre via soprattutto nella prima parte in modo abbastanza incomprensibile. Lo spettatore non riesce a cogliere le ragioni di un gesto così estremo come quello compiuto da Martina che si spiega forse solo attraverso una forte crisi dovuta allo schock culturale. Nella seconda parte quando i ruoli si invertono si viene coinvolti in una situazione quasi kafkiana in cui il protagonista solo e inerme affronta e subisce un processo con una sentenza già scritta. L'idea di fondo sembra quella di raccontare una storia, forse nemmeno poco comune, senza fare troppo rumore, senza strilli e alla fine anche senza dramma.
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Nel tentativo di eliminare ogni tratto melodrammatico e di ridurre al minimo gli elementi emotivi, Marra ottiene solo il risultato di dar vita ad un film piatto che soprattutto nella prima metà si avvita in dialoghi logori e situazioni irritanti al limite del sopportabile. Manca il ritmo. Un ritmo qualunque. Tutto sembra fermo, immobile. Nello stesso tempo non c'è nemmeno la volontà di compiere un esercizio di stile. Non trovo scusanti, insomma. Le riprese sono televisive, il parco attori di quart'ordine, la scrittura dozzinale. Una noia mortale. Viene spontaneo domandarsi cosa spinga un autore ad adottare un tema tanto serio e doloroso per tradurlo in immagini così banali, che non commuovono ma nemmeno fanno riflettere. Stancamente e senza colpi d'ala ci si ritrova faticosamente al termine di una storia che avrei preferito non mi venisse raccontata.
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