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capolavoro assoluto...Roy Andersson vince meritatamente a Venezia con un film sublime, che nel suo totale rifiuto narrativo offre uno sguardo struggente ed impietoso sull'umanità dolente...la conclusione della trilogia Anderssoniana (che dovrebbe avere un seguito in un "quarto" capitolo, sono parole dell'Autore) offre allo spettatore l'enormità del messaggio unito all'alto magistero della tecnica pittorica, riuscendo a fondere significante e significato in una sintesi mirabile...se proprio non si vuole resistere alla tentazione di cogliere suggestioni interpretative, si potrebbe tentare un accostamento morale a Bergman ed uno stilistico a Kaurismaki...ma sono vuoti esercizi di stile di fronte ad un'Opera immensa, dolente e ironica...
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Spettatori curiosi e vogliosi di sperimentare, fatevi avanti. Apparentemente fondato più sulla costruzione fotografica dell'immagine che sui contenuti narrativi, è in realtà una commedia nera con diverse cose da dire. Lo svedese Roy Andersson tocca corde inconsuete, e la fruizione potrebbe risultarvi un po' ostica.
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Diciamolo subito: non è cinema d'intrattenimento. Come piccioni su un ramo, assistiamo alle cartoline animate di Anderson che asciuga la moderna esistenza alla quintessenza, ovvero, al vuoto: luoghi comuni, frasi fatte e situazioni stereotipate. Personaggi impersonali, che dialogano sul nulla ci mostrano la perdita dell'"essere un essere umano" e, quando qualcuno talvolta prova a interrogarsi sulla problematiche dell'esistenza, gli viene risposto, ad esempio, che è tardi e bisogna andare a dormire. Probabilmente il regista individua nel linguaggio verbale e nei contesti sociali standardizzati la causa della perdita dell'umanità: basti pensare che solo nelle brevissime immagini fuori contesto e senza dialoghi [un uomo che fuma alla finestra, la giovane coppia sulla spiaggia] riscopriamo la poesia della vita.
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Figure algide,personaggi svuotati di interiorità, ridotti a caricature di se stessi;storia surreale che rifugge da tutti gli schemi e disorienta per la frammentarietà; brandelli di vita senza nessi causali/temporali tenuti insieme da un esile filo narrativo; ambienti che come quadri di Hopper sottolineano la solitudine,la desolazione,l’incomunicabilità dell’essere umano,la ripetitività delle sue azioni prive di significato.A tale visione fanno da contrappunto, creando un effetto comico/grottesco, la musica di sottofondo e l’uso di un linguaggio convenzionale(“sono felice di sapere che state tutti bene”è una frase che attraversa tutto il film;la maschera di zio Dentone, il sacchetto di finte risate sono oggetti inutili da vendere per divertire la gente),innescando il passaggio di registro dalla tragedia alla farsa.Con un’idea di base originale e ben congegnata all’inizio il film parte alla grande ma il tono rimane monocorde girando sempre intorno allo stesso tema senza progressione
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