"Combat Film."
Lo sbarco in Normandia, il massacro, gli uomini allo sbaraglio, la cinepresa a livello d'uomo, il sangue, le lacrime, la sabbia, la schiuma del mare che schizza sull'obiettivo, i suoni (una sinfonia tecnologica all'interno della quale uno specialista distinguerà le caratteristiche di ogni calibro). L'immersione totale nella rappresentazione della morte; mai insistita, mai spettacolare, sempre seguita con intimità: la morte è la sola, vera protagonista della guerra.
"Salvate il soldato Ryan", riprende tutti gli schemi, talora i vizi degli schemi del "film di guerra", anche se è vero che sono i più grandi: quelli degli Hawks, dei Peckinpah e dei Fuller. Ma se confrontato ai grandi film (anti)militaristi di sapienza, finisce per flirtare con l’"ambiguità" di Kubrick, di Coppola, di Malick. Certo, Spielberg, ha voluto raccontare una volta di più una di quelle "fiabe" che da sempre predilige, nelle quali l'uomo qualunque si trasforma in Eroe che rende omaggio a coloro che ebbero il coraggio di decidere, compiendo la guerra "giusta": ucciderne uno, cento, mille per evitare che le vittime siano cento, mille, un milione di più. Ma è un calcolo atroce, una contabilità maledetta sempre contestabile. E, nella sua buona(?) fede, Spielberg non riesce ad evitarne del tutto i rischi del mestiere: tutti i buoni da una parte, ed i cattivi dall'altra, l'inevitabile arrivo dei nostri. Una scrittura della sceneggiatura che finisce quindi per imporre ad ogni costo la propria logica e la propria morale. Si possono, perciò, riconoscere in "Salvate il soldato Ryan" diverse furberie per mantenere alto il rumore della battaglia, ma il film rimane comunque grande e testimonia la bravura d'un regista, capace di padroneggiare perfettamente il suo racconto, le sue idee e i suoi sentimenti. Spielberg non condanna la guerra, fa molto di più, la mostra com'è.
Vincitore di 5 premi Oscar (1999). |