"Meglio sei teste che ragionano assieme, che una che lo faccia da sola..."
Ritratto di una generazione a pezzi, specchio infranto e deforme, riflesso di una cultura ormai passata della quale si è vittima e carnefici. Moretti, al suo secondo film dopo “Io sono un autarchico”, racconta con piccole scene, piccoli frammenti, la brutta copia della stagione del ’68, ormai ridotta a sterile e desolante cliché tra giovani che dopo dieci anni, sono solo capaci di svuotare significato a parole un tempo sacre e rivoluzionarie. La condanna degli stereotipi e del qualunquismo dilagante del suo tempo, Moretti ce la descrive con gli occhi di Michele Apicella, suo alter-ego, io-narrante, personaggio ed autore al tempo stesso. Lui stesso, pur non volendo farne parte, è parte di questa “cultura”, nella quale le giornate si passano tra un bar e un altro annoiati e stanchi, facendo collettivi banali e senza senso, parlando di tutto ma di niente a radio private, litigare contro tutto e tutti come se litigare fosse la lotta di cui si parlava un tempo…
Roma, insolita e soffocante per quanto vuota, è una prigione nella quale sono rinchiusi i protagonisti del film, che cercano una libertà non ben definita in grottesche veglie notturne o in improbabili sedute di autoscienza, di confessioni e riflessioni. Le loro relazioni sono all’insegna dell’insoddisfazione costante e di pochi fatti. “Vado in giro, faccio cose”, è l’amara (forse incosciente) ammissione di una completà inutilità, che si risolve in una probabile consapevolezza di non lasciare un segno tangibile della propria esistenza nella storia.
Opera importante nel panorama del cinema italiano (già nel ’78 la sua uscita suscitò aspre discussioni ottenendo al contempo un inaspettato successo di pubblico e critica), Ecce Bombo regala “uno dei Moretti migliori”, in tutta la sua genialità mista a predilezioni e tic del regista romano, abile analista delle frustrazioni di quegli anni. |