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Nel 1920 nella Cina del Nord, la diciannovenne Songlian, in contrasto con la matrigna, lasciata l'università accetta di sposare il cinquantenne Chen Zuoqin, signore di un'antica casata. Questi ha già tre mogli: l'anziana Yuru, che gli ha dato un figlio; Zhuoyun, donna abile ma ambigua; Meishan, ex cantante ancora attraente. Il segno del privilegio sono le lanterne rosse che il marito-padrone fa accendere davanti alla stanza della sposa con la quale trascorrerà la notte. |
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"E’ la sua condizione stessa di donna ad impedirle di essere più forte del sistema."
Il procedimento è sempre lo stesso: mostrare un individuo prigioniero di un sistema (arcaico). Qui la meccanica è quella del concubinaggio.
Zhang Yimou passa come sempre dalla stilizzazione, all'astrazione: nella prigione dorata di Songlian, ogni concubina abita un'ala geometricamente ritagliata, nella quale le lanterne del titolo si accendono quando il padrone decide di passare la notte da una piuttosto che dall'altra. Quasi un altro racconto, quindi, più eterno, universale, significativo, all'interno dell'aneddoto. Una struttura che sembra nascere da una dimensione spaziale, coloristica, musicale. Morale.
"Lanterne rosse" diventa così un film sulla perversione del potere. Zhang Yimou sembra essersi liberato da certe tentazioni nei confronti del Bello: non c'è una sola fra le sopraffini immagini del film ad essere inutile. Tutto sembra concorrere a fare di questa leggenda così remota una parabola chiarissima e struggente sul mondo che ci circonda; quelle mura seducenti, quei tetti avvolgenti, quelle sete, quegli ori, quei costumi d'ineffabile "educazione", all'interno dei quali affiora tutta la miseria, la sopraffazione, la disperazione di uno dei più bei ritratti femminili che il cinema ci abbia offerto.
Leone d’Argento a Venezia (1991).
Oscar e David di Donatello 1992 per il miglior film straniero. |
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Commenti del pubblico |
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News sul film “Lanterne rosse” |
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'Far East Film Festival': anteprima del remake cinese di What women want (23 Febbraio 2011)
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