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Recensione: Il vento ci porterà via

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Il vento ci porterà via
titolo originale Bad ma ra khahad bord
nazione Iran / Francia
anno 1999
regia Abbas Kiarostami
genere Drammatico
durata 118 min.
distribuzione Bim Distribuzione
cast B. Dourani (Ingegnere)
sceneggiatura A. Kiarostami
musiche P. Yazdanian
fotografia M. Kalari
montaggio A. Kiarostami
media voti redazione
Il vento ci porterà via Trama del film
Lentamente la jeep attraversa il paesaggio maestoso della campagna del Kurdistan. La strada bianca avvolge con le sue curve gli alberi, le distese di grano, i morbidi picchi, le nuvole, i prati, i sassi, i pochi contadini, quasi smarriti, nello spazio vuoto e solenne. A bordo di un auto da Teheran arriva un gruppo di uomini che stanno cercando un villaggio isolato. A un bambino che li accompagna a destinazione raccontano, mentendo, che stanno cercando un tesoro nel cimitero, in cima alla collina.
Recensione “Il vento ci porterà via”
a cura di Andrea Olivieri  (voto: 7)
In un paesino del Kurdistan iraniano, a 700 km da Teheran, un uomo di mezza età arriva in auto con alcuni compagni.
Il trillo di un telefonino si ripete nel silenzioso paesino, mentre il suo proprietario corre sulla strade sterrate con la jeep verso la sommità della collina, dove riceve meglio il segnale.
Se ne andrà insieme ai suoi compagni, che a noi restano sconosciuti, molti giorni dopo, senza aver raggiunto il loro scopo: filmare un particolare rito funebre che si pratica nel villaggio.
Kiarostami fornisce solo alcuni elementi, lasciando lo spettatore libero di inserire altri tasselli della storia.
Le immagini si soffermano sul protagonista e sui bellissimi paesaggi, gli altri personaggi, restano occultati, nascosti alla nostra visione.
"Il vento ci porterà via" è la prima pellicola che non si esaurisce attorno a poche tematiche, ma che ha una vera e propria moltiplicazione dei soggetti.
Il film parla innanzitutto della morte, di una morte che non si vede, ma di cui si intravedono i segni, i segnali.
In quanto specchio della morte, il film ci parla di riflesso della vita. Come avveniva in "E la vita continua" e in "Il sapore della ciliegia", Kiarostami ci racconta una morte per parlarci della vita.
La pellicola è, anche, un saggio sulle differenze tra la vita della città e quella della campagna, tra un'idea di mondo basato sulla tecnologia e un'idea di mondo basata sulle tradizioni. L'incontro tra due diverse culture (città e campagna) serve per parlare, ancora una volta, di incomunicabilità.
Il film è anche occasione per illustrare la condizione del Kurdistan, uno stato fantasma, la cui cultura è sconosciuta anche alle persone che vivono in Iran.
La pellicola parla anche di poesia; il titolo riecheggia un verso di una poesia della poetessa Forugh Farrokhzad.
Se in precedenza era Kiarostami ad indicare allo spettatore la via da seguire per rispondere alle domande che lui stesso poneva durante il film, qui sembra lasciare il timone completamente in mano al pubblico senza però dare una cartina di riferimento con la quale muoversi.
Il regista con "Il vento ci porterà via", chiede a tutti i “partecipanti” del processo artistico (attori,spettatori, indigeni del luogo, egli stesso) la stessa domanda; s’interroga su dove bisogna andare, quali indicazioni occorre seguire.
La risposta è indicata ora: il suggerimento è quello di guardare altrove, di non aspettarsi le informazioni dove si crede possano essere, ma trovarle in uno spazio 'oltre', oltre le aspettative, oltre la realtà, oltre la stessa metafora della realtà.
Il cineasta con quest'opera si libera del materiale del film, evitando di darne una forma definita e attribuendo ad altri, il compito e la responsabilità di plasmare tale materiale.
Il film è una vera e propria rieducazione alla vista. Kiarostami passa direttamente il testimone allo spettatore, che d'ora in poi non dovrà limitarsi a rispondere, ma starà a lui descrivere il viaggio di un uomo, quale strada prenderà. E’ la macchina da presa ad allontanarsi prima o dopo i titoli di coda, come se il cinema potesse seguire la vita dei protagonisti per poco e poi fosse costretta ad allontanarsi.
La differenza con le prime opere del regista è evidente.
Paradossalmente, questa responsabilità da parte del pubblico, non toglie a Kiarostami il dovere della visione, della scelta d’immagine. Avviene anzi il contrario. Il cinema deve ripetutamente riposizionarsi alla ricerca di un nuovo equilibrio. E' necessario porre l'attenzione sulle finalità e sulle possibilità del mezzo.
Per sopravvivere, la settima arte, deve riscoprire determinati valori; non deve fermarsi in una nostalgica riproposizione del soliti temi, ma determinare nuovi spazi di espressione.
Proprio per tentare di dare vita a uno spazio 'oltre', l'opera del regista persiano si apre alle altre arti. Il film accoglie in se la poesia, il quadro, la fotografia, il racconto, l'autobiografia e conferma questo tentativo di allargare gli spazi.
Gran Premio della Giuria a Venezia.
Commenti del pubblico







Ultimi commenti e voti
Medaglia d'Oro (247 Commenti, 80% gradimento) giampaolosy Medaglia d'Oro 23 Dicembre 2015 ore 16:59
voto al film:   8

Sulla falsa riga del bellissimo "Sapore della Ciliegia" Kiarostami in tono più scanzonato e ironico mette in scena la solita metaforica e grande riflessione sulla vita e sulla morte. Questa volta lo fa attraverso il contrasto tra due mondi: l'Iran dell'uomo che viene dalla città e l'Iran o meglio il Kurdistan dei villaggi. Splendidi scenari e bellissima la fotografia.
Medaglia d'Argento (113 Commenti, 59% gradimento) kikujiro Medaglia d'Argento 8 Ottobre 2011 ore 18:03
voto al film:   7,5

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