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Non farti mai dire dagli altri chi devi amare, e chi devi odiare. Sbaglia per conto tuo, sempre. È il monito che l'anziana nonna rivolge al nipote Tommaso rientrato a casa da Roma deciso ad affermare le proprie scelte personali anche a costo di scontrarsi con la famiglia. Quella di Tommaso, il figlio minore dei Cantone proprietari di un pastificio in Puglia, è una famiglia numerosa e stravagante. In casa c'è molta attesa per il suo ritorno: la nonna ribelle e intrappolata nel ricordo di un amore impossibile, la mamma Stefania, amorosa ma soffocata dalle convenzioni borghesi, il padre Vincenzo deluso nelle aspettative sui figli, la zia Luciana a dir poco eccentrica, la sorella Elena che rifugge un destino da casalinga, il fratello Antonio da affiancare nella nuova gestione del pastificio di famiglia. Insieme a loro Alba, la cui strada incrocia professionalmente quella dei Cantone. Non mancano però sorprendenti rivelazioni e colpi di scena. Ed anche per questo il soggiorno di Tommaso dovrà protrarsi ben più a lungo del previsto... |
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Meno didascalico, meno impegnato, ma più leggero e in fondo coraggioso.
Ozpetek non dice niente di nuovo, ma lo dice in maniera diversa, quasi fosse più libero, anche da sé stesso. I toni sono meno drammatici e le idee meno "militanti". |
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REGIA - SCENEGGIATURA - MUSICHE - FOTOGRAFIA - HUMOUR | |
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ORIGINALITÀ - IMPEGNO | |
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Dopo il disastro di “Un giorno perfetto”, Ozpetek si giocava molto: in palio c’era da riconquistare il pubblico, da convincere la critica, da cancellare molti dubbi riguardo il suo cinema.
Riesce a farsi perdonare, giocando d’astuzia come già accaduto anni fa dopo l’insuccesso di “Cuore sacro”, scegliendo cioè di tornare ai suoi temi più cari. Nella sostanza non c’è (quasi) niente di nuovo, ma la forma questa volta è ironica e leggera, lontana dai toni tragici di altri suoi lavori.
Ozpetek sembra volersi divertire e non prendersi troppo sul serio: le riflessioni sulla famiglia sembrano solo suggerite, e i problemi di una società che nel 2010 è più retrograda rispetto a dieci anni fa non sono esasperati. Mine vaganti racconta di equilibri che si spezzano, di persone che, soffrendo, scelgono di essere se stesse sfidando perbenismo e ipocrisia; lo fa senza moralismi e senza retorica sebbene, questo sì, pecchi nel rappresentare alcuni personaggio secondari in modo troppo macchiettistico. Eppure va bene così, perché è tutto l’impianto narrativo tende alla suggestione ma anche all’ironia: in quest’ottica va letta, per esempio, tutta la microstoria degli amici di Tommaso che vengono da Roma, che sono protagonisti delle scene più divertenti del film. Proprio in queste scene si nota la felice scelta di Ozpetek condannare le bugie derivate dal bisogno di nascondere la propria intimità, e di farlo con semplicità e autoironia. Quando invece il regista opta per ricercati estetismi ecco che i risultati sono di alterne fortune: da una parte scene melò un po’ stucchevoli (la nonna e i dolci) dall’altra scene di grande eleganza come la sequenza finale. L'ultima considerazione la merita Ilaria Occhini: è lei senza dubbio la più brava, con un una potenza e un magnetismo unici, che riescono a mettere in secondo piano le interpretazioni sia di Scamarcio (bravo, ma un po’ fuori parte) che di Fantastichini (bravo anche lui maleggermente sopra le righe).
In conclusione: un buon film, piacevole e intelligente, che dimostra la grande capacità di Ozpetek di affrontare il tema dell’omosessualità e al tempo stesso, forse definitivamente, l’incapacità di allontanarsene. |
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Commenti del pubblico |
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