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Hildegard von Bingen – realmente esistita – è la decima figlia di una ricca e nobile famiglia tedesca e si accorge ben presto di avere una spiccata sensibilità visionaria, ma lo nasconde a tutti. Alla nascita è stata promessa a Dio e all’età di 8 anni consegnata ad un Monastero Benedettino. Diventata più tardi la badessa del convento, abile nella medicina, ha una sconvolgente apparizione che le ordina di rivelare messaggi divini di cui è a conoscenza. Nonostante lo scetticismo e il sospetto di eresia, il Papa la sostiene e le concede di pubblicare le sue visioni. La sua vita cambia, costruisce un suo convento e dà vita ad un rivoluzionario approccio umanista e femminista alla fede. |
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Era qualche anno che non arrivava in Italia un prodotto di Margarethe Von Trotta, confinata ormai nella sfera mitica dei registi che, in passato, hanno dato qualcosa alla settima arte. Dal passato riemerge trascinando con sé un passato ancor più remoto, un medioevo sullo schermo a cui non corrisponde un medioevo del cinema, ma nemmeno un presente. La storia di Hildegard von Bingen viene riesumata e proposta ad un pubblico che meno interessato non si potrebbe; una monaca e le sue visioni, le sue battaglie, il fascino che il successo ha su di lei, l’importanza della morte in un ambiente che non ha altri diversivi: questo traspare dallo schermo, non le sue capacità filosofiche e scientifiche ridotte ad una passione, preferendo calcare la mano sulla sua visionarietà, confondendo una forma stilistica con un dono.
La narrazione è lineare e pacata per non dire piatta, eccezion fatta per il colpo di testa che, con uno zoom ed un effetto speciale degno delle apparizioni fantozziane, trasforma la giovane monaca in una giovane pazza (pardon, messia): un momento di follia che Margarethe si guarda bene dal riproporre, portando avanti con professionalità un film che avrebbe avuto qualche possibilità in più se concepito come una miniserie televisiva. |