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Inverno, 1943. Martina ha 8 anni, vive alle pendici di Monte Sole, non lontano da Bologna, è l'unica figlia di una famiglia di contadini che, come tante, fatica a sopravvivere. Anni prima ha perso un fratellino di pochi giorni e da allora ha smesso di parlare.
Nel dicembre la mamma rimane nuovamente incinta.
I mesi passano, il bambino cresce nella pancia della madre e Martina vive nell'attesa del bimbo che nascerà mentre la guerra man mano si avvicina e la vita diventa sempre più difficile. Nella notte tra il 28 e il 29 settembre 1944 il piccolo viene finalmente alla luce.
Quasi contemporaneamente le SS scatenano nella zona un rastrellamento senza precedenti, che passerà alla storia come la strage di Marzabotto. |
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Come mano contadina, aspra e affettuosa. Come poesia gentile, sincera e appassionata. Come preghiera intima, sofferta e piena di speranza.
Il secondo film di Giorgio Diritti non tradisce le aspettative di chi attendeva con curiosità di vedere se il regista bolognese fosse stato in grado di ripetere le emozioni e le atmosfere del suo film d’esordio Il vento fa il suo giro, acclamato da critica e pubblico e reso famoso soprattutto grazie ai Festival che lo hanno ospitato, più che alle sale cinematografiche, dove peraltro è riuscito a rimanere in programmazione per più di un anno.
Con sguardo onesto e tocco garbato, Diritti narra una delle stragi più abominevoli della storia - quella di Marzabotto, dove vennero trucidati quasi 800 civili - scegliendo di raccontarla attraverso i silenzi di Martina, attraverso i suoi occhi puri, attraverso la sua innocenza. Le parole lasciano il posto alle immagini, sempre bellissime e penetranti, sia quando indugiano sui volti contadini segnati dalla sofferenza e dai sacrifici, sia quando la telecamera riprende a campo largo l’innocenza della terra e il suo splendore. Pur avendo una vena documentaristica, il film (girato interamente in dialetto) più che puntare ad essere rigidamente storico, rimane in equilibrio armonico tra realismo e poesia, entrando nella dimensione dell’intimo, dell’umano, e sceglie una rappresentazione del male non necessariamente vestita con uniforme nazista, evitando così facili moralismi e banalità. La condanna, infatti, è per la guerra tutta, figlia dell’ignoranza e della paura (“siamo ciò che ci hanno insegnato”, dice un ufficiale tedesco), madre di distruzione e violenza, e inutile risposta ai problemi del mondo.
All’uomo che verrà, il compito di cambiarlo… |
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un film straordinario, onesto, che racconta la storia di un territorio senza pomposità, senza propagandare un'ideologia. anche se antipatico e inutile, mi è stato inevitabile pensare all'opera di Bertolucci che tratta lo stesso tema. ebbene, al di là della immensa fotografia di Novecento, penso che L'uomo che verrà riesca di gran lunga a raccontare meglio la storia e lo spirito di un popolo rurale durante l'occupazione tedesca, senza eccedere in ridicole prese di posizione. anzi, proprio tramite gli occhi della protagonista possiamo notare il rifiuto anche delle esecuzioni partigiane. un film molto saggio e poetico se pur tragico
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Opera di finzione e documento storico straordinario. Per non dimenticare
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Festival di Roma, vincono Diritti e Donato (23 Ottobre 2009)
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