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Un film davvero unico, come solo Francesca Archibugi potrebbe concepire. Ciò che mi ha particolarmente colpito dei suoi personaggi è l'intangibilità, resa attraverso l'incessante mutare – scena dopo scena – della portata simbolica del loro agire; intangibilità che disorienta, perché collocata in un contesto dove stasi e coercizione sono la regola. Ed è quella del disorientamento la categoria estetica attraverso cui la Regista conferisce un senso etico alla misteriosa, caleidoscopica diversità dei malati psichici. Disorientamento e intangibilità diventano, in tal modo, epifanie della dignità umana di chi, come Pippi e gli altri pazienti, sarebbe condannato sine die all'emarginazione. Ma l'umile, tenace lotta del Dottor Arturo per quei ragazzi non scivola mai nella retorica; al contrario, l'Archibugi si serve della finzione scenica del suo operato per svelarci la vera realtà dell'Amore.
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