Nonostante uno sguardo più lineare rispetto ai suoi precedenti lavori, l'occhio cinico di Shinya Tsukamoto si perde nella psiche di un’umanità impazzita, che sfida apertamente le regole del sistema, ripudiandone le basi e sfidandone la quotidianità: la propria condizione esistenziale (insostenibile), si trasforma in un'appassionata (spietata) rassegnazione mistica alla tragedia, tanto spirituale quanto materiale.
Perché la pellicola parla non solo di un’insana passione per l’estremo, ma anche di un virus che penetra sottopelle e contagia sia i protagonisti, malati e tormentati, che lo spettatore.
In un violento emarginato sociale, si parte da un bianco e nero spettrale, brillante, in cui le sfumature di grigio sono intrusioni, e si termina in una spirale di crudeltà morale e fisica in cui il sangue è scurissimo e i proiettili penetrano nella carne come nulla fosse...
Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia. |