Cyberpunk, mutazioni, trasformazioni, innesti, metallo su metallo, pelle sopra la pelle.
La città, sfondo degli spostamenti, viene mostrata con squarci sporadici, veloci e alienanti. Case basse, piccole fabbriche in rovina, cumuli di rifiuti industriali abbandonati: un tessuto urbano in decomposizione.
La musica, martellante e distorta, crea un effetto di stranimento e dolore malsano.
Se il corpo si trasforma, altrettanto fanno i sensi. Lo sguardo, l'udito, ma anche al memoria si fanno elettronici e la loro rappresentazione è una vera e propria estetica del disturbo.
Così la voce è un cavernoso rimbombo, l'orecchio trasmette schianti metallici al cervello trasformato in circuiti ferrosi.
La metamorfosi del corpo è un monitor pieno di interferenze, di neve elettronica attraverso la quale i ricordi appaiono distorti, accelerati, riavvolti. La memoria è una cassetta inserita in un videoregistratore guasto.
Architetture ed esseri viventi diventano indistinti e confusi, collassando in una "sostanza" unica e imprecisata.
La vita, anche nel metallo, continua imperterrita, disperata e ostinata, proprio come "la vita della carne", soltanto alla ricerca di una nuova forma.
La lotta parte da qui, dal tentativo violento e disperato di ritrovare un equilibrio, di definire la propria nuova identità, persa con il passaggio da umano a cyborg.
L’assurdità della storia dimostra come non vi sia alcuna assurdità nei valori simbolici presenti nel film di Tsukamoto. Ogni elemento riflette particolari caratteri sociali (disumanità rappresentata dall’inorganicità dell’acciaio, sesso come esasperazione e violenza) e filosofici (forse senza accorgercene il mondo è diventato qualcosa di orribilmente meccanico, privo di ogni senso estetico e morale).
Il debutto di Shinya Tsukamoto si attesta a metà strada tra il surrealismo alla David Lynch ed il tema della mutazione del corpo e della sua evoluzione tanto caro a David Cronenberg; dall’espressionismo al videoclip frenetico e traballante; dalla body art estrema ai manga.
"Tetsuo" però non si limita ad esplorare la fantascienza ed il genere cyberpunk; l'opera infatti può essere vista come un’originale riflessione sull’uso sempre maggiore della tecnologia nell’età moderna e sul suo diffondersi sempre di più e ovunque, con tanto di effetto deumanizzante per coloro che se ne appropriano e ne fanno largo uso.
Dietro le deliranti e velocissime inquadrature di Tsukamoto si cela il male, un male che si fa strada dentro di noi prendendo possesso del nostro corpo, mutandolo, in questo caso trasformandolo in un'entità biomeccanica, e nella realtà uccidendo l'uomo.
"Estremo" e irripetibile; la rivelazione di un grande filmaker.
Gran Premio al Fantafestival di Roma nel 1989. |