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Torna il custode notturno Larry che trasloca, armi, bagagli e statue di cera comprese, allo Smithsonian Institute, il museo più grande del mondo, con una collezione di oltre 136 milioni di pezzi: dall'aereo su cui volò Amelia Earhart durante la trasvolata sull'Oceano Atlantico alle foto segnaletiche di Al Capone, fino alle pantofole rosse di Dorothy. Decine e decine di nuovi personaggi tornano in vita per portare ancora una volta sul grande schermo un'ondata di confusione, divertimento e fantastiche avventure. La storia sono loro e la fanno tutta in una notte. |
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Una delle new-entry di questo film, Abe Lincoln, concorderebbe su una basilare verità: “Una notte al museo 2 – La fuga” lo avrebbe potuto tranquillamente sceneggiare un bambino di 10 anni con l’unico requisito di aver visto il primo episodio. Ben due gli sceneggiatori accreditati per riprendere la storia del primo film ed apportarle significative modifiche: il Museo di Storia Naturale di New York aveva dato tutto, si cambia museo. Il più grande (e il più vicino) è lo Smithsonian Institute, che ha inoltre il pregio di non aver mai accolto troupe cinematografiche al suo interno. Ma come fare con i personaggi ai quali il pubblico si è affezionato? Trasferiti allo Smithsonian, ovviamente. Dopo un’ora e tre quarti (poco meno di una notte, nella fiction) saranno tutti di nuovo a casa, nel piccolo e confortevole museo newyorkese.
“Una notte al museo 2” (il cui titolo originale è “la battaglia dello Smithsonian”, e non il banale “la fuga” della versione italiana) prova a tracciare un profilo psicologico del custode (sempre Ben Stiller), promuovendolo a inventore e imprenditore prima di riportarlo al suo grande amore; accanto a lui un’eroina, l’aviatrice Amelia Earhart (Amy Adams); i nuovi cattivi, che di cattivo hanno ben poco, sono Kahmunrah, faraone che punta al dominio del mondo per mezzo di fantomatiche armate del male, Ivan il Terribile, Al Capone e Napoleone. Proprio su Napoleone c’è da spendere qualche parola: a un certo punto propone una divertente tesi secondo la quale avrebbe lasciato eredi in Italia, bassi come lui, con manie di grandezza... La gag è un prodotto della versione italiana, approvata dalla produzione alla quale sicuramente non dispiace rimodellare il film considerando i diversi fruitori. Se questo può andare, non si capisce invece (cioè, si capisce ed è un errore grave) la traduzione dei vari “inglese/americano” con “italiano”, il pubblico italiano si aspetta che un americano a Washington chieda “parla americano?” e non “parla italiano?” solo perché quella è la lingua che effettivamente stiamo ascoltando.
In attesa di un ulteriore sequel magari al Louvre il pubblico che non disdegna le minestre riscaldate, specialmente se gli è piaciuto il sapore della prima, si accontenterà anche stavolta. |