“Elias è un eroe senza leggenda che arriva dal mare come Ulisse; uno straniero che non mi è estraneo.” (Costa-Gavras)
“Verso l'Eden” è un simbolo potente e attuale. Basta la prima scena, per comprenderlo. Una barca al tramonto viaggia quasi senza meta, straripata di uomini disperati, futuri clandestini di un'odissea probabilmente interminabile. Tra di loro Elias, giovane, bello e capace anche di sorridere alla disperazione.
Costa-Gavras, il maestro greco, Premio Oscar nel 1983 con “Missing” per la miglior sceneggiatura non originale, osserva, scruta, mostra semplicemente una storia, sempre più drammaticamente nota. La regia diventa una curiosa ed umile inseguitrice del destino di Elias, trasformandosi a volte in una dea materna piena d'amore verso il suo sfortunato prescelto.
Elias non ha leggenda, il suo passato non conta, è strappato come i suoi documenti. Lui fugge e cerca, senza aver altro talento se non quello di sparire e correre veloce, Elias cerca la vita che merita, quella che dovrebbe essere dignitosa e uguale per tutti.
Tedeschi, francesi, inglesi, italiani, spagnoli, ognuno un riflesso di una società (Europa) allo sbando che preferisce trattare uomini come animali e animali come uomini; che ha paura di aprirsi, di confrontarsi, di diventare generazionalmente altro. Tutto questo descritto con i toni leggeri di chi non ha bisogno di straripare per essere capace di mischiare commedia e dramma. Ogni ruolo è ricamato da una sceneggiatura che osserva, si confessa, mette a nudo, fin dalla spiaggia riservata ai nudisti che accoglie dal mare Elias, vivo e stremato; che racconta una fragilità estesa a chiunque e in qualunque strato. Bene, male e fatica sono le dimensioni del film che vede Riccardo Scamarcio, avvolto dal silenzio delicato ed espressivo di Elias, trovare le corde della grande intepretazione d'autore. E la successiva coraggiosa forza di dichiarare, nella conferenza stampa di presentazione del film, che “le ronde sono una vera vergogna”.
Certamente non l'unica del nostro paese... |