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Recensione: The Best of Times

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The Best of Times
titolo originale Meili Shiguang
nazione Taiwan / Giappone
anno 2002
regia Chang Tso-Chi
genere Drammatico
durata 102 min.
distribuzione Fortissimo Film sales
cast W. Fan (Wei) • G. Meng-Jie (Jie) • Y. Wan-Mai (Nonna) • T. Mao-Ying (Padre di Wei) • W. Yu-Chih (Ah Min)
sceneggiatura C. Tso-Chi
musiche T. Hugo P.
fotografia C. Yi-Min
montaggio L. Ching-Song
media voti redazione
The Best of Times Trama del film
Il diciannovenne Wei vive nella periferia di Taipei con il padre, la nonna e due sorelle, Dudu e Min, malata di leucemia. Lavora come addetto al parcheggio di un nightclub, di proprietà del gangster Brother Gu. Il suo migliore amico Jie si guadagna qualche spicciolo suonando alle cerimonie del tempio, ma vorrebbe trovare un impiego più stabile. Un giorno Wei ottiene una promozione: si occuperà di incassare il denaro dei debitori per conto di Brother Gu. Il ragazzo convince il boss ad assumere Jie e a farli lavorare insieme.
Recensione “The Best of Times”
a cura di Andrea Olivieri  (voto: 7)
"The Best of Times" è una quasi opera prima, dato che i precedenti lavori di Tso-Chi (allievo del grande Hou Hsiao-Hsien) non sono stati riconosciuti dall’autore, sempre in conflitto con le produzioni.
Apparentemente il film è la storia di due ragazzi nella periferia di Taipei, alle prese con il difficile "lavoro di crescere": Wei e Jie sono diversi ma con condizioni simili, figli di padri vedovi, il primo lavora come parcheggiatore e si occupa anche della giovane sorella malata di leucemia, e l’altro più folle e scatenato, pigro e indolente e facilmente preda della sua impulsività.
Il film scorre lento, tra i vicoli di una periferia spoglia e senza speranza, fino a quando, iniziato un lavoro di recupero crediti, complice l’irruenza di Jie e l’incauto regalo di una pistola fattogli dallo zio, non sfocia in tragedia.
Qui la trama devia in una folle direzione, con i vicoli che diventano luogo di fuga e di morte per i due ragazzi, che per un attimo assaporano la quiete del rifugio lontano, sul mare, al riparo dalle insidie della grande città.
Ma "The Best of Times", mentre descrive con minuzia di particolari la durezza del vivere, il dolore che affonda nella pelle giovane dei protagonisti, sa spostare con delicatezza il centro narrativo da una storia di povertà e voglia di riscatto in una sorta di "sinfonia della giovinezza", con i corpi dei due ragazzi che corrono, soffrono, muoiono e poi rivivono in un sogno/incubo dove l’unica via di scampo sembra essere quella delle acque torbide del fiume della città.
Ed è proprio lì che Wei e Jie torneranno a sorridere, come risorti in un acquario; (elemento presente in tutto il film) "pesci" desiderosi di ritornare a vivere negli spazi sconfinati dell’oceano.
L'influenza del primo Hou Hsiao-Hsien nel cinema di Chang è innegabile: Chang si concentra sul tema gioventù, in particolare sui rapporti d'amicizia maschile. Mentre però gli adolescenti di Hou subiscono un processo di crescita, in Chang incontrano una tragica fine, e resta di loro il ricordo estetizzato.
Ciò che resta della giovinezza, il tempo migliore, il tempo della bellezza, è una scena splendida, un'illusione, perfetta, ma che non porta a nessuna crescita o sviluppo.
L'immagine centrale attorno a cui si sviluppa il film è l'ultima, nucleo di senso che non è conseguenza delle premesse lasciate dal racconto, bensì base di partenza, sempre preliminare attorno al quale si sviluppa tutta la pellicola.
Nuotando sott'acqua e respirando come nel capolavoro di Jean Vigo, i due ragazzi danno vita a una sorta di balletto subacqueo, un duello di kung-fu al rallentatore, sottolineato da una melodia sudamericana.
Un finale elettrizzante, una via di fuga onirica, che chiude in modo del tutto coerente un film che poggia la sua forza sull'uso di un linguaggio figurato, dove il realismo dell'osservazione sociale e del dettaglio quotidiano si mescola e si contamina continuamente con la dimensione del sogno/desiderio dei personaggi.
Fantasia e realtà, vita interiore e docu-drama, tenuti assieme dal rigore e dall'abilità con cui le varie inquadrature sono organizzate, permettono che si proceda parecchio in direzione del cinema simbolico e metaforico (l'acqua, i pesci, il nuoto) senza smarrire tensione ed equilibrio narrativo.
Presentato in concorso alla 59ma mostra del cinema di Venezia (2002).
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