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Ormai adulte tre sorelle, Sophie, Céline e Ane, si sono allontanate e ognuna conduce la propria vita, ma tutte rimangono legate da uno sconvolgente episodio legato alla loro giovinezza. Sarà Sébastien, entrato nella vita di Céline, a far ritrovare le tre sorelle rivelando un verità del passato... |
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Non ci lascia neanche una speranza Tanovic, il regista del pluripremiato No man’s land questa volta sceglie Parigi per ambientare il suo ultimo lavoro, L’enfer (l’inferno). Non lascia speranze, perché le tre sorelle protagoniste si muovono all’interno di un percorso quasi obbligato, dove pesa un passato e, quindi, un destino predeterminato.
Sophie (Emmanuelle Béart), Celine e Anne sono sorelle, ma non si frequentano mai, non si conoscono o quasi. Ognuna conduce, piuttosto tragicamente, la propria esistenza. Le famiglie si rompono e i legami sono sempre in bilico. Il riavvicinamento delle donne e avverrà solo nel momento in cui un passato drammatico dell’infanzia tornerà alla luce.
L’enfer fa parte di un progetto incompiuto di Krzystof Kieslowski, che prima di morire aveva in mente la trilogia “Paradiso”, “Purgatorio” e, appunto, “Inferno”.
I temi trattati sono forti, toccano da vicino le ragioni stesse del ruolo della famiglia, fuori da ogni tentativo di mitizzare questo istituto sociale oggi quanto mai in crisi. L’idea di fondo è molto ambiziosa, il film ha i suoi momenti migliori quando le protagoniste si avvicinano tra loro e, di fronte al fallimento delle proprie esistenze, decidono di unirsi in nome di un passato orribile. Siamo lontani anni luce dalla visione eroica delle donne di Almodóvar.
Le attrici reggono ottimamente la scena, d’altra parte Tanovic è andato sul sicuro, scegliendo interpreti di primo piano (oltre alle tre protagoniste, appaiono anche Carole Bouquet, vecchia e muta, e il grande Jean de Rochefort). A tratti si perde di vista il senso generale del film, che lascia tutto sommato poco alla spettatore, anche quando, in una bella scena, tenta di volare alto evocando la tragedia greca, oggi impossibile per l’indifferenza umana. I meriti di Tanovic sono quelli di aver osato, abbandonando il tono scanzonato di No Man’s Land e di aver tentato la strada dell’intimità, per denunciare che “non c’è bisogno di andare in Afghanistan per andare in guerra, c’è più infelicità a Parigi”. Interessante è la scelta dei colori dominanti, diversi per ciascuno delle tre protagoniste. Insomma un’opera riuscita a metà, Tanovic è bravo e questo ci porta a considerare L’enfer un’occasione persa per la sua conferma definitiva. |