Partiamo da una considerazione: Il sangue dei vinti è un film che osa a metà, vorrebbe sbilanciarsi, ma rimane troppo ancorato ad uno stile di ripresa rigido e televisivo. Se proprio in questo periodo, in cui si vive un’attualità politica fatta di tensioni partitiche, qualcuno decide (e ha tutta l’ammirazione) di trasformare in fotogrammi le pagine di un libro di Giampaolo Pansa, per mostrare le sfaccettature di quelli che sono stati i conflitti ideologici e personali del singolo durante gli anni della seconda guerra mondiale fino alla liberazione, con la camicia rossa o nera poco importa, allora ci si chiede perché non prendere una decisa posizione politica?
Proiezione speciale al Festival del Film capitolino di quest’anno, la pellicola di Michele Soavi rimane imprigionata in una forma che non è completamente quella della fiction televisiva ma che non ha nulla ha che vedere con la cinematografia come dovremmo essere abituati a considerarla. Se nella costruzione delle inquadrature si coglie una scelta interessante in alcune riprese di “sporcare” l’obiettivo con un uso di quinte, siano esse i piedi di un cadavere o le sbarre di un letto, il film percorre una strada sbagliata che lo porta a perdersi nell’anonimato, perché non sorretto da una verosimile sceneggiatura. La partitura scritta è fatta di dialoghi appiattiti, per niente sostenuti (se non nel caso della brava Bobulova) da un’intensità recitativa meno forte di quanto richiederebbero i fatti narrati. Si ha l’impressione che tutto scorra troppo in fretta, quasi da non lasciar tempo di metabolizzare i numerosissimi avvenimenti di cui vorrebbe farsi portavoce. Si susseguono uccisioni, azioni di guerra, tradimenti e ricerche di assassini ignoti, ma il poliziotto Michele Placido, che dovrebbe essere coinvolto in tutto questo, non riesce ad esprimersi fin in fondo. La soluzione scelta per l’adattamento narrativo dal libro di Pansa non traumatizza e non scuote. Apprezzabili in parte gli sforzi del regista di voler mostrare una sfaccettatura più umana di quella seconda grande guerra ma tutto si risolve in un semplicismo che non può sperare di essere preso sul serio. |