Dal romanzo “Perfect skin” di Nick Earls (uscito in Italia col titolo “Le avventure semiserie di un ragazzo padre”), Giulia Calenda e Maddalena Ravagli traggono uno script insufficiente, una storia che vuole richiamare la “Rebecca” di Hitchcock nelle dinamiche di coppia e nella presenza di una prima moglie mitizzata, ma non nelle atmosfere, vero segno distintivo di tutto il cinema hitchcockiano. Imperdonabile la “seconda possibilità” offerta al protagonista, sorta di “Cliffhanger” della chirurgia estetica, o forse semplice richiamo alla struttura favolistica che sembra avvolgere la pellicola: se si tratta di un’aggiunta in fase di sceneggiatura è una cattiva idea, se invece è presente nel testo originale è un’altrettanto cattiva idea quella di rimanere fedeli, e dà allo spettatore il motivo principale per non comprare il libro.
L’impressione è che Luca Lucini farebbe volentieri a meno del confronto con Hitchcock, nel suo processo di emendamento da “Tre metri sopra il cielo” che sembrava a buon punto dopo “Amore, bugie e calcetto”. Purtroppo ritorna il vizietto della musica che c’entra poco con la storia (questa l’unica conclusione possibile se quando partono le prima note di una canzone la reazione dello spettatore è “questa la conosco!”), ma almeno non c’è lo speaker. Sono comunque scelte marginali alla regia in sé, nella quale si mostra decentemente a suo agio così come nel film precedente; un plauso anche per la direzione degli attori: non vuole essere ironico, il materiale è alquanto inferiore a quello di “Amore, bugie e calcetto” e l’attore potenzialmente migliore, Fabio Troiano, ha una parte macchiettistica che non gli permette di provare a recitare. Luca Argentero, sul quale Cattleya sta evidentemente puntando molto, non fa il salto di qualità cui era atteso dopo prove soddisfacenti, e di questo passo rischia di legarsi indissolubilmente al ruolo di bel ragazzo sorridente (piangere non è difficile, cambiare espressione di più).
Peccato, nel soggetto c’era una certa originalità che si perde nei luoghi comuni della narrazione; ad ogni modo una bocciatura sarebbe troppo pesante: se non fosse per la parte finale si avvicinerebbe alla sufficienza. Resta comunque un’occasione sprecata. |