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Il cinema americano degli ultimi quarant’anni ha attraversato una serie di straordinarie trasformazioni produttive, estetiche e tecnologiche. Dopo il graduale declino del cinema hollywoodiano classico, con la dissoluzione dello studio system e la marginalizzazione del cinema a opera della televisione, Hollywood ha saputo riorganizzarsi, dando mano libera a una nuova generazione di registi, da Altman, Coppola, Peckinpah a Scorsese. È la stagione entusiasmante della New Hollywood, quando gli studios producono film che rompono in maniera radicale con le convenzioni del passato, sia sul piano dei contenuti sociali e politici – come la battaglia per i diritti civili, la controcultura, la rivoluzione sessuale o l’opposizione alla guerra del Vietnam – sia per quanto riguarda la dimensione formale. È una stagione elettrizzante ma relativamente breve, che si consuma nell’arco di un decennio, grosso modo tra “Il laureato” (1967) e “Apocalypse Now” (1979). Alla straordinaria libertà espressiva degli anni Settanta segue un periodo in cui i produttori riescono a ricostituire un sistema dominato da logiche economiche e narrative non dissimili da quelle del periodo classico. Tuttavia il ritorno all’ordine non impedisce l’affermazione di prepotenti figure autoriali, come i fratelli Cohen, Tarantino, Wes Anderson. E anche all’interno del cinema più schiettamente industriale il panorama è tutt’altro che immobile. Qui la rivoluzione digitale e la riconfigurazione dell’universo mediale produrranno cambiamenti epocali, come il sorgere del cinema degli effetti speciali e la rinascita dell’animazione. |
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