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Ingmar Bergman (Svezia, 1918-2007) è, nel mondo del cinema, un gigante di statura comparabile a quella di Beethoven o Dostoevskij. Ha realizzato una cinquantina di film che catturano lo spirito dei suoi tempi, rielaborando incessantemente le sue intime ossessioni e l’angoscia di fronte al silenzio di Dio. In“ Monica e il desiderio ”(1953), Harriet Andersson incarna una ragazza scandalosamente anticonformista e sensuale, un soffio di libertà simbolo di una nuova modernità nel cinema. Nel “Settimo sigillo” (1957), Bergman evoca la fede e la morte. Gli anni ’60 lo vedono all’opera con uno stile sperimentale che dà forma a “Persona ”(1966), una delle più potenti raffigurazioni dell’ambiguità del male. In seguito, con “Scene da un matrimonio” (1973), il cineasta mette in scena la lucida analisi di una coppia turbata dal trasformarsi dell’attrazione reciproca in distruzione, mentre “Fanny e Alexander ”(1982) è una gioiosa e nostalgica rievocazione delle memorie dell’infanzia. L’ultimo film di Bergman, “Sarabanda ”(2003), è un sobrio capolavoro, al tempo stesso una lezione pratica su come si realizza un film e un’indagine esistenziale. |
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