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“Full Metal Jacket” è un film sulla modernità, sociale e cinematografica. Kubrick inventa il «classico sperimentale», dove l’aurea precisione dei tempi d’oro si trasforma in una minacciosa potenza di catastrofe, dove il sentimento prevalente è quello dell’angoscia e della paura, dove il «perfetto» nasce dall’incontro assurdo tra un brutale meccanismo di preparazione e un risultato senza risposte. Come ogni classico, anche Full Metal Jacket chiede di essere visto e rivisto, contiene sequenze diventate di culto, non smette mai di rilanciare significati nascosti. Ma come ogni film moderno, possiede un vasto numero di oppositori, mantiene tratti oscuri, lascia sofferenti gli spettatori, offre quel senso di «impurità» che il cinema della Hollywood classica non avrebbe consentito, almeno non con tale evidenza.
Roy Menarini insegna Storia del cinema all’Università di Udine, Dams di Gorizia. Studioso e critico cinematografico, ha scritto numerosi volumi tra cui Il cinema europeo (con M. Comand, 2006). Presso Lindau sono usciti Ridley Scott. Blade Runner (2000) e Nanni Moretti. Bianca (2007).
Claudio Bisoni, dottorando di ricerca presso il Dams di Bologna, è stato redattore di «Voci Off». È autore di una monografia su Brian De Palma (2002) e ha collaborato alle riviste «Fotogenia» e «La Valle dell’Eden». |
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